martedì 22 maggio 2012
Segnali preoccupanti...
mercoledì 16 maggio 2012
Lettera d'Amore alla Sinistra
martedì 3 maggio 2011
Svolte epocali...


Il primo articolo che ho pubblicato sul blog quest'anno, a gennaio, iniziava così: “Com'è cominciato scoppiettante questo 2011...”. Si riferiva allo scandalo di Berlusconi e Ruby Rubacuori. Questo 2011 è molto di più che un anno scoppiettante. E' un anno che rimarrà nella Storia... E, per nostra grande fortuna, non ci rimarrà per gli “scandaletti” di Silvio. Ci rimarrà perchè sono successe, e stanno accadendo, svolte epocali. E' strana la Vita. Ci sono degli anni in cui è calma piatta, totale, mentre altri in cui invece accade tutto insieme (stranamente succede la stessa cosa anche nella mia Vita personale). Io non sono credente, non credo negli oroscopi/disegni divini (come ben sapete). Questa, però, è una di quelle cose che mi lascia dei dubbi. Mah, sarà tutto solo un caso (o forse no)... L'unica cosa certa è che questo 2011 non ha proprio l'aria di essere un anno come un altro. Le svolte epocali che stanno accadendo sono evidentissime: le rivoluzioni nei paesi arabi e il disastro nucleare di Fukushima. Proprio ieri, inoltre, è uscita la notizia che avrebbero ucciso Osama Bin Laden. Non voglio soffermarmi troppo su questa notizia, perchè è tutto ancora molto confuso. E' anche questa, comunque, una svolta epocale. Una cosa permettetemi soltanto di rilevare: in 10 anni che gli danno la caccia (dal 2001), gli americani (guarda caso) riescono a scovare il “super-latitante” Osama proprio nei mesi in cui tutto il mondo arabo è pervaso da un meraviglioso fermento. E' un po' strano, non trovate? Sarà, anche qui, solo un caso (ma 'sto caso non è che lo tiriamo in ballo un po' troppe volte?). Sinceramente non saprei dire cosa ci potrebbe essere dietro questo “strano caso”, ma certo è che quello che sta avvenendo nei paesi arabi preoccupa (e molto) i popoli occidentali. L'Occidente sventola, continuamente, la paura che dietro queste rivoluzioni ci sia l'ombra dei terroristi. Non è questa, però, la paura dei nostri Governi. Quella del terrorismo è evidentemente una scusa (in questi mesi qualcuno di voi ha visto, per caso, bruciare qualche bandiera occidentale? Io no!) per guardare con sospetto queste meravigliose rivoluzioni. Nel mondo Arabo si svolge da sempre una partita fondamentale per tutto l'Occidente: la partita del petrolio. Noi, checchè se ne dica, dipendiamo come drogati dalla terra musulmana e dall'oro che scorre sotto ad essa. Il nostro Capitalismo è potuto diventare quello che è grazie sopratutto al petrolio (almeno l'80% dei prodotti che utilizziamo ogni giorno deriva, in un modo o nell'altro, dal petrolio). Il nostro Capitalismo è potuto diventare quello che è grazie ai governanti corrotti che abbiamo sempre sostenuto in quei Paesi. I governanti corrotti sono proprio quelli che oggi sono nel mirino della “Primavera musulmana” (vedi alla voce Muammar Gheddafi). La paura dell'Occidente, quindi, non è tanto per il presunto terrorismo ma quanto per il fatto che se cadono questi “dittatori” e vanno su Governi “del popolo” le condizioni favorevoli potrebbero cambiare. L'intervento della Nato in Libia rientra perfettamente, secondo me, in questa logica. L'Occidente non può fare nulla contro queste ondate di “risveglio”. Non resta quindi che appoggiarle e mostrarsi come “amici” agli occhi di chi, da domani, dipenderanno i flussi di petrolio. L'uccisione di Bin Laden potrebbe essere un modo per lanciare un sasso nel grande marasma che avvolge oggi l'Islam, e per sondare così eventuali “emozioni” e “reazioni”. Ovviamente è soltanto un'ipotesi. L'unica cosa certa è che quello che sta accadendo al di là del mare è davvero una svolta epocale. Le conseguenze non è ancora chiaro quali potranno essere. Gli arabi, comunque sia, ci stanno dando una grande lezione. Io farei questa equazione: arabi di oggi = partigiani di ieri. Si stanno liberando dai parassiti che l'Occidente, come dicevo prima, ha instaurato e sostenuto per decine e decine di anni. La loro rivoluzione non è anti – occidentale, ma nei fatti lo sarà. La miccia è partita da Internet... Internet non è forse un “nostro” prodotto? L'uomo bianco crede, come sempre, di poter dominare e controllare tutto. Non è così. Prima o poi scappa qualcosina, ed è da quel “qualcosina” che divampano poi gli incendi. Che figura da idioti che stiamo facendo! Fino a ieri amici dei dittatori, oggi grandi sostenitori dei rivoluzionari. L'Italia è ovviamente la prima della fila. Gheddafi è incazzato come una iena con il nostro Belpaese, e ha tutte le ragioni per esserlo. Su questo non gli si può dare torto. Fino a ieri l'abbiamo accolto come un Re, gli abbiamo baciato le mani, ci siamo chinati a 90 gradi in tutti i modi possibili e immaginabili... E poi? Poi tutto d'un tratto, di punto in bianco, lo andiamo a bombardare. E' allucinante. Gheddafi è un delinquente, ma penso che pure ad un santo gli girerebbero i coglioni di fronte ad un comportamento del genere. Berlusconi ha esposto il nostro Paese ad un rischio colossale... Siamo fortunati che, alla fin fine, Gheddafi è soltanto un “povero pazzo”... A quest'ora, altrimenti, ci starebbero cadendo un bel po' di bombe in testa. Dunque, è scoppiata la guerra in Libia. Questa guerra è stata fatta, evidentemente, solo per meri interessi economici e strategici (come dicevo prima). E' una guerra sbagliata perchè è una guerra che abbiamo prodotto noi (noi inteso come Occidente). E' una guerra contro noi stessi, alla fine. Bisognava pensarci prima, bisognava avere rispetto per le risorse altrui, bisognava sostenere la Democrazia. Così non è stato, e queste sono le conseguenze. La guerra è sbagliata ma è, oggi, purtroppo inevitabile. Il capo dell'Algeria ha ceduto. Mubarak pure. Gheddafi no. Gheddafi è troppo corrotto, e marcio, per arrendersi. Gheddafi non si fa scrupoli a sparare sulla sua gente. Io sono assolutamente per la Pace, e lo sapete. In certe rare eccezioni, però, è necessario l'uso della forza. Mussolini non sarebbe mai caduto, se i partigiani non avessero imbracciato le armi. Oggi i libici, per cacciare Gheddafi, non possono non imbracciare le armi. Il punto è che il Colonnello è troppo forte, e da soli gli insorti non possono farcela. Hanno chiesto aiuto all'Occidente. L'Occidente ha risposto. Premesso che fino ad oggi è stato tutto sbagliato (per colpa nostra), vi lancio una provocazione: come bisognerebbe comportarsi oggi? E' sbagliato andare a bombardare, d'accordo. Che si fa allora? Si sta fermi, e si lascia che il Rais resti dov'è? Credetemi, c'ho pensato e ripensato. D'istinto verrebbe da dire che non bisogna mai usare la Forza, e che bisogna tentare tutte le altre strade. Io sono un idealista, e lo sapete. Per mia grande Fortuna, però, sono anche realista. La mia parte razionale mi dice che se oggi qualcuno non aiuta gli insorti... Gheddafi vince. Ho una forte impressione che, questa volta, la mia parte razionale non si stia sbagliando. Non credo sinceramente che con Gheddafi basti la diplomazia. Gheddafi non se ne andrebbe mai, con qualsivoglia azione diplomatica. Potete dirmi che è sbagliato andare a lanciargli le bombe (perchè le bombe non sono intelligenti e colpiscono quello che capita), ma non potete dirmi che per mandarlo via basta la diplomazia. Qualcosa bisognerà pur fare. Non lo so: fare arrivare agli insorti armi e mezzi più potenti, spingere gli altri Paesi confinanti ad inviare truppe in aiuto. Qualcosa che sia il più neutro possibile, ma che dia ai libici la possibilità di vincere questa battaglia contro Muammar. Lo ripeto, io sono assolutamente contraio alla guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. Ci sono certe situazioni, però, in cui è una strada obbligata. La Libia, oggi, credo sia una di quelle situazioni. Poi c'è il discorso clandestini / profughi. Qui abbiamo vissuto una situazione davvero paradossale e ridicola. Un paese di 65 milioni di abitanti va nel panico per qualche migliaia di profughi? Abbiamo visto, nuovamente, la politica del “terrorismo” psicologico (anche noi abbiamo dei terroristi, Obama... Vieni a liberarci!) che la Lega fa sulle sue popolazioni. Berlusconi, invece, ha avuto un'altra bella occasione per fare il suo spettacolino da incantatore di serpenti. “Ghe pensi mi, ghe pensi mi...”. Si, ghe pensa lù. Si è visto, infatti, come gh'a pensato a Napoli o a L'Aquila (Napoli è sommersa dai rifiuti più di prima): soluzioni temporanee e assolutamente inefficaci. E' stato uno spettacolo indecente vedere questi poveri clandestini trattati come “delinquenti di Guantanamo”, deportati in campi di prigionia vergognosi. Questi campi, poi, erano davvero ridicoli. Il Governo, sapendo che molti clandestini volevano passare il confine per andare in Francia o Germania, ha lasciato che scappassero come se nulla fosse: le abbiamo viste tutti le immagini di quei ragazzi che saltavano le reti, e delle Forze dell'Ordine a braccia conserte. Quale serietà e credibilità può avere uno Stato che combina queste pagliacciate? Quei campi non andavano fatti, ma se li si vuole fare li si faccia almeno bene. Poi, sinceramente, trovo demenziale la differenzazione fra clandestini e profughi. I profughi li accogliamo, i clandestini li rimandiamo indietro. Qualcuno dovrebbe spiegare ai nostri governanti che quando delle popolazioni migrano lo fanno perchè non vivono situazioni di benessere, al di là che nei loro Paesi ci sia la guerra o meno. Nessuno di questa gente lascia la propria Terra perchè ha voglia di venire a fare turismo in Europa. Nessuno lascia la propria Terra felice di farlo. Creare questa differenza fra chi parte perchè nel suo Paese ci sono le bombe, e chi parte perchè nel suo Paese si muore di fame, è stupido ed ipocrita. Io credo che non sia etico rispedire a casa qualcuno che bussa alla tua porta, da qualunque parte arrivi. La soluzione migliore (l'unica praticabile), infatti, è stato concedere permessi di soggiorno temporanei. Chi arriva sul nostro suolo ha diritto, secondo me, ad avere una possibilità... Permesso temporaneo (non possiamo pretendere che gli stranieri stiano nella legalità, se non gliela offriamo noi per primi), che può diventare definitivo se la persona riesce ad integrarsi con il lavoro. Certo, l'immigrazione andrebbe organizzata e coordinata. Ci vorrebbe innanzitutto coordinamento fra tutti i Paesi europei nel gestire i flussi, a seconda delle esigenze e dei bisogni dei singoli Paesi (e anche delle possibilità lavorative che offrono). Purtroppo, invece, stiamo assistendo ad una sempre più progressiva “chiusura” dell'Europa (è stato uno spettacolo altrettanto indecente vedere gli Stati europei rimbalzarsi la palla di questi clandestini, giocando a chi meno voleva saperne di accoglierli). Non sono d'accordo con Grillo quando dice che negli altri Stati sta andando su la destra xenofoba per colpa nostra che abbiamo sempre accolto tutti. L'Europa, come tutto il mondo capitalista, è in profonda crisi. Quando uno Stato si sente franare la terra sotto i piedi... chiude tutte le porte. E' una reazione psicologica “umana”, ma è sbagliata. Quando qualcosa non va non ti resta che aprirti (ogni sistema chiuso su sé stesso prima o poi muore, Entropia). La soluzione ai tuoi problemi può arrivare proprio dalla persona che accogli. E poi ricordiamoci anche un'altra cosa: queste persone stanno venendo a prendersi qualcosa di quello che noi gli abbiamo “scippato”. Lo so che può essere bollato come il solito “discorso demagogico”, ma volenti o nolenti è la realtà delle cose. Dico di più: dovremmo ringraziare che vengono in pace, e a testa bassa. Avrebbero tutto il diritto di venire incazzati, e con le armi in mano. Certo, potreste rispondermi che oggi non c'è il lavoro nemmeno per noi... Che siamo in una crisi economica pazzesca, che non girano soldi, eccetera eccetera... Ed avreste ragione. Loro, però, non lo sanno. Loro vengono a prendersi soltanto qualcosa che gli spetta di diritto (ed è, tra l'altro, soltanto una piccola parte di tutto quello che gli spetterebbe). Il fatto che il Capitalismo si stia rivelando “una grande truffa” (perchè alla fin fine c'è sempre qualcuno più in alto di te che te lo vuole mettere in quel posto), è un problema nostro... Non loro. C'è da rivedere tutto il Sistema, amici miei, perchè c'è più di un qualcosa che non va. L'altra svolta epocale che è avvenuta quest'anno è, come dicevo all'inizio, il disastro di Fukushima. 25 anni esatti dopo Chernobyl. Un altro bel caso, eh? Sembra quasi fatto apposta. Scoppia la centrale in Giappone, e immediatamente tutti scoprono che il nucleare non è sicuro. Posso dirvi che è un po' demenziale? Non sopporto il genere umano quando scopre le cose soltanto dopo essersi bruciato. Lo trovo un comportamento terribilmente primitivo: che diamine sono serviti tutti questi anni di (presunta) evoluzione se stiamo ancora a 'sto livello? Il nucleare non è, e non potrà mai, essere completamente sicuro. In Giappone abbiamo visto lo stesso meccanismo che vi ho descritto prima: l'Uomo crede di poter sempre dominare e controllare tutto, ma “qualcosina” prima o poi scappa. La centrale di Fukushima era stata progettata fino ad un certo livello di sisma. La Natura però, fottendosene altamente dei progetti umani, scatena un terremoto un pelo più forte del solito... Ed è immediatamente il disastro! Quanto siamo arroganti, e presuntuosi. Ci crediamo i dominatori del Mondo. In realtà siamo solo dei piccoli animaletti che zampettano qua e là. Il Mondo ci può dominare come e quando vuole lui. Ce ne ha date, e continua, a darcene di prove. Ma noi niente, avanti. Imperterriti. Certe energie della Natura sono troppo potenti, non riusciremo mai a dominarle fino in fondo. Io l'ho conosciuta, e vissuta, la paura del nucleare. Ve ne ho anche già parlato in qualche altro articolo. Fino a pochi anni fa vivevo in Monferrato, Piemonte. In Piemonte è successo, nel suo piccolo, un disastro nucleare (in questi mesi in tv ne stanno parlando molto. Quando successe, invece, nessuno dei media nazionali ne fece cenno). A Saluggia, provincia di Vercelli, c'è un deposito di scorie nucleari (l'85% di tutte le scorie nucleari italiane, solide e liquide) che dal 2003 – 2004 ad oggi perde liquido contaminato. Chi conosce quelle zone sa che sono ricche di acque, di confluenze fra vari fiumi. Sono state già alluvionate, e lo stesso Carlo Rubbia ha detto ha detto che se lì succede qualcosa è una catastrofe. Qualcosa, però, è già successo. Il liquido contaminato, come dicevo, è uscito per anni (e a quanto pare continua ad uscire). La paura che ho vissuto aveva come emblema il rubinetto di casa. Infatti, pur vivendo ad almeno una ventina di chilometri dalla zona del deposito, c'era il problema che il nostro Acquedotto aveva i suoi pozzi proprio li vicino. Ufficialmente l'acqua potabile non è mai stata contaminata. In alcuni pozzi di proprietà dell'Acquedotto, però, è stata rilevata presenza di sostanze radioattive (i responsabili hanno sempre ribattuto che l'acqua veniva pescata più a fondo). Non si sa bene cosa sia successo lì, e forse non si saprà mai (salvo monitorare l'aumento delle leucemie in quei territori da qui ai prossimi 30 anni). Certo è che ho provato cosa significhi avere il terrore di entrare in contatto con la radioattività, e di cosa significhi affermare che “il nucleare è sicuro”. Balle. Nessun nucleare potrà mai essere completamente sicuro. In Italia men che meno, visto che non siamo nemmeno capaci di tenere sotto controllo un “innocuo” deposito di scorie.
In conclusione: c'è un filo che lega l'Arabia al Giappone, un filo che lega due svolte epocali. Il filo dell'energia. In Arabia il petrolio, in Giappone il nucleare. Sullo sfondo il Capitalismo. Sono sempre più convinto che il pilastro di questo nostro sistema economico e sociale sia l'energia. Più della finanza, più del commercio, più delle banche... Più di tutto, ciò che tiene in piedi questo sistema è l'energia. L'energia è ciò che arriva ogni giorno dentro alle case di tutti i cittadini, ciò di cui nessuno può fare a meno. La singola persona è davvero “schiava” finchè c'è qualcuno che gli vende l'energia, finchè dipende da qualcun altro. Il Capitalismo vede come fumo negli occhi l'idea che i cittadini inizino a prodursi l'energia da soli, creando reti di interscambio. Sarebbe l'inizio della sua fine. Non è un caso, infatti, che il Governo abbia bloccato gli incentivi alle rinnovabili proprio mentre ha riproposto il nucleare (ora è evidente la furbata che stanno facendo per evitare il referendum. Siamo governati da una classe politica arrogante e sfacciata, che sputa ogni giorno sopra alla Democrazia espressa dai cittadini. Vergogna!). I signori del Dolore (come li chiama giustamente Vecchioni) se ne fregano dei morti che producono le loro stupide fonti energetiche, l'importante è tenere schiave le persone. Il più grande investimento che si possa fare al Mondo è la costruzione di una centrale nucleare... Credete davvero che ci rinuncino per quello che è successo a Fukushima? Non ci rinunceranno mai, costasse la morte di tutto il genere umano. La crisi in Giappone, e quella nei paesi arabi, sono il segnale che il Capitalismo non può controllare fino in fondo l'energia. C'è sempre da fare i conti con la Natura, e con il popolo. Sono anche il segnale che le fonti energetiche predilette dal Capitalismo viaggiano ormai al tramonto, come il Capitalismo stesso. Sono vecchie, insulse, e pericolose. La tecnologia ci sta offrendo la possibilità di uscire dalla schiavitù del sistema energetico. Forse si può partire proprio dal discorso energetico, per poter arrivare ad immaginare un nuovo modello di società. Una cosa è certa: bisogna dire basta alla maggior parte dei processi macroscopici che ci rendono schiavi ogni giorno. Non è immaginabile una Società dove l'uomo non sia in grado di prodursi da solo, e in piccolo, tutto ciò che gli è di fondamentale bisogno (l'energia, il cibo, e tutti gli altri beni di prima necessità. Tali beni non devono essere in mano alle multinazionali. Devono essere prodotte e vendute a livello locale... Altrimenti il sistema non regge). Tutto questo va, ovviamente, accompagnato anche da un'altra idea di fondo: la decrescita. Dobbiamo fermarci un momento, fare un passo indietro, ripensare ad ogni singolo elemento. Dobbiamo, a mio avviso, costruire una nuova Società basata fondamentalmente su due parole: equilibrio e condivisione. Equilibrio perchè è impensabile continuare a sostenere questo ritmo di consumi (e di conseguenti sprechi. Il Capitalismo è il sistema dello spreco: più tu sprechi, più io ti vendo). Condivisione perchè è impensabile fornire lo stesso bene a tutti (la nostra Società attuale non fa altro che invogliare continuamente all'egoismo, soltanto per poter vendere di più). Forse tutto questo sono soltanto utopie, ma una cosa è chiara: o le svolte le diamo noi, o arrivano da sole. Ciò che è successo in Giappone e in Arabia sono un segnale. Il segnale che non possiamo credere di non dover rendere conto mai. Alla Natura, e ai popoli che abbiamo usurpato, dovremo rendere conto prima o poi (più prima che poi). Ci siamo illusi di poter benissimo non passare mai dalla cassa a saldare il conto. Non è così. A questo punto le soluzioni sono soltanto due: o si trova un modo per uscirne tutti al meglio, o ci faremo molto molto male. A noi la scelta.
Una colomba per i bambini di Fukushima...

In occasione del venticinquennale di Chernobyl molti si stanno ricordando (ed alcuni con opportunismo) dei cosiddetti "bambini di Chernobyl". Sarebbe immorale non ricordarsi anche dei "bambini di Fukushima", i quali, forse, avranno bisogno, paradossalmente, di un maggiore supporto, in quanto figli di un doppio abbandono: quello messo in atto dalla politica della minimizzazione nucleare e, ironia della sorte, quello della comunità mondiale che considera il Giappone una potenza economica in grado di assistere dovutamente i propri cittadini. E così il cerchio si chiude: la salute di questi bambini è data in saldo al silenzio colpevole della lobby nucleare e al disinteresse silenzioso di una cooperazione che valuta unicamente le possibilità di intervento con parametri umanitari/economici, senza considerare le già compromesse aspettative di vita, non solo di questa, ma anche delle future generazioni.
L’attenzione viene sempre più guidata (e giustamente!) verso la necessaria ricostruzione con l’obiettivo di riportare, quanto prima, una parvenza di normalità. E in questa doverosa normalità da assicurare, pian piano scemerà l’attenzione verso un nemico, insidioso come la mafia: la radioattività, infatti, non si sente, non si vede, non ha odore.
L’unica soluzione per non pagarne la responsabilità, e il giusto risarcimento morale e economico, sarà l’oblio; la soluzione cinica per definire “psicosi” il futuro diritto alla salute dei “bambini e della popolazione di Fukushima”, sarà la minimizzazione, se non la liquidazione, degli effetti del fall out. Già dall’11 marzo, i radionuclidi si stanno incorporando nei corpi di questi bambini, dei loro genitori, fratelli, nonni…E, il problema non si esaurirà fra 20 anni, come invece vogliono farci credere.
Bisogna, già fin da ora, intervenire con una costante informazione, suggerire le raccomandazioni alimentari e le indicazioni per una gestione consapevole del rischio radioattivo. Infatti, come nelle zone di Chernobyl, non saranno le competenze o il materiale a mancare, ma la volontà a diffondere con costanza e coerenza le informazioni e, soprattutto, l’attenzione e la ricerca fra le relazioni di causa ed effetto.
Bisogna intervenire quanto prima per evitare che il benessere sociale di una nuova ricostruzione e gli incentivi economici “una tantum”, distolgano l’attenzione da sepolture sempre più anticipate dalla contaminazione radioattiva, dall’attestarsi del saldo negativo nel tempo fra natalità e mortalità, dai difetti congeniti che esploderanno fra una generazione, dovuti alla trasmissione genetica degli effetti di incorporazione dei radionuclidi.
Nella patria della tecnologia, Fukushima è il clone perfetto di Chernobyl. È necessario che “il volontariato di Chernobyl” diventi anche “il volontariato di Fukushima”. È tempo di un nuovo impegno, di risorse ed anche di nuova esposizione personale. Bisogna dare strumenti per intervenire alle persone “di buona volontà”.
lunedì 28 febbraio 2011
Domande esistenziali... (Parte 1)
Bhè, questa è una di quelle domande da un milione di euro! E' una domanda a cui il genere umano non potrà mai dare una risposta completamente risolutiva. Con la Ragione, con la Logica, possiamo azzardare ipotesi (ed è importante continuare a farlo), ma è ovvio che rimangono soltanto ipotesi. C'è qualcosa che ci manca, ci sono dei passaggi fondamentali che ci sfuggono... Viviamo immersi in questa Realtà terrena, Realtà che conosciamo (grazie ai progressi scientifico - tecnologici), studiamo, comprendiamo... Tuttavia i processi iniziali, le "motivazioni" che hanno provocato la Realtà e noi stessi, non li conosceremo mai. Non ci sarà mai nessuna tecnologia o Scienza che potrà dirci con certezza perchè siamo su questa Terra, dove andremo a finire, eccetera eccetera. Diciamo che è un pò come leggere un bellissimo romanzo, scritto benissimo, dettagliato e particolareggiato, a cui però manca sia l'Inizio che la Fine. Ti girano un pò le scatole, eh? Ti rimane l'amarezza in bocca. Hai conosciuto una storia meravigliosa, una favola, ma non saprai mai quali sono le motivazioni da cui è partito tutto ciò che hai letto. E' un peccato, un vero peccato. Certo, certo... Poi c'è la Fede. La Fede prova a dare delle risposte risolutive, che io chiamerei "speranze". La Fede è ovvio, però, che contrasta totalmente con la Logica. Fede e Logica sono due binari che corrono, paralleli ma ben distaccati. Fede significa credere, significa fidarsi, significa accettare che ciò che ti vien detto sia vero a prescindere. Come sapete io sono agnostico: se devo scegliere fra Fede e Logica prediligo la seconda, senza però escludere che ciò che afferma la Fede possa anche essere vero. Attenzione, prediligere la Logica non significa essere materialisti, o rassegnati, o quant'altro! Anzi! Quando la Logica viene bagnata con la Spiritualità (da non confondere con Fede) si possono scoprire profondità e territori inesplorati, si può vivere "ad occhi aperti", si può VIVERE DAVVERO (l'unica vera diversità che esiste nel genere umano è tra chi VIVE e chi SOPRAVVIVE). Fatta questa premessa, veniamo alla domanda. Perchè esiste la Sofferenza? La mia risposta, ovviamente parziale, è che la Sofferenza esiste in quanto opposta alla Dolcezza. Il Dna della nostra Realtà terrena ed umana è costituito da tanti Elementi, opposti ma allo stesso tempo inscindibili fra loro (yin e yang, uomo e donna, Bene e Male, notte e giorno, Amore e Odio). Si potrebbe forse ipotizzare che siano, addirittura, due lati di uno stesso corpo. Il meccanismo della Vita funziona e va avanti soltanto perchè si basa sugli opposti, altrimenti non ci sarebbe nulla. Io, pur essendo agnostico, non sono un relativista. Anzi. Io dico che esiste un Bene ed esiste un Male, ben distinti e ben visibili entrambi. Qualunque caratteristica qualitativa giri intorno all'Uomo può essere posizionata o nel Bene o nel Male. E' ovvio che, esistendo Bene e Male, esistono anche Sofferenza e Dolcezza. Sono delle sub - categorie, diciamo. Il punto che ci sfugge è: cosa sono nella loro Essenza Bene e Male? Da dove nascono? Qual'è il loro scopo? Si potrebbe rispondere che è solo un caso, che in realtà non hanno una forma costituita... Oppure si potrebbe rispondere che il Bene l'ha creato Dio e il Male il Diavolo (a che scopo, poi? E' un pò troppo epica come versione quella del continuo duello fra Dio e il Demonio, non trovate?)... Non so voi, ma a me non mi convincono entrambe. Mi sfugge ancora qualcosa. Personalmente credo che questi opposti servano a stimolare l'Uomo e la Vita. La nostra Realtà non è piatta, è un continuo movimento. Se esistesse soltanto il Bene c'adagieremmo, e il nostro processo di crescita interiore s'arresterebbe. La Sofferenza è ciò che ci punzecchia. La Sofferenza è un pò come il frustino per i cavalli: stimola a correre. La Sofferenza non va mai ricercata, ma quando arriva va vissuta e "sfruttata". Il Dolore è un canale importantissimo per conoscerci, per viaggiare dentro noi stessi, per crescere e maturare. Ogni Dolore non vissuto è un'occasione sprecata... Facendo una battuta si potrebbe dire che la Vita è come il maiale: non va buttato nulla.
Come superare/vivere la separazione dalla persona amata?
La Morte è ciò che lascia senza parole. La Morte non ha spiegazioni. La Morte tira in campo, inevitabilmente, il discorso di una Vita successiva. In genere io sono una persona che ha sempre parole per tutto, perchè credo che ragionando si possono trovare vie d'uscita a qualunque situazione complicata. Le uniche situazioni in cui mi trovo davvero in imbarazzo, in cui ogni parola sembra fuori posto, è di fronte alla Morte. Quando qualcuno mi comunica che una persona a lui cara è scomparsa non so davvero cosa dirgli. Mi verrebbe da esprimergli tutto il mio Amore e tutta la mia Comprensione, ma è facile Amare e Comprendere quando il Dolore non ha toccato te. Siamo tutti bravi a dire: non sai quanto mi dispiace, lo rivedrai nell'Altra Vita, ti proteggerà da lassù. Mi metto nei panni dell'altra persona... Al suo posto, di fronte a frasi del genere, mi manderei volentieri a fare in culo. No, prediligo il silenzio. La mia vicinanza la dimostro in altre modalità, meno ipocrite e più rispettose. Io ho "perso" due sorelle. Il dolore per un lutto l'ho vissuto, e l'ho visto nelle facce di chi con me viveva quel lutto. Ho conosciuto persone che hanno avuto altri grossi lutti. Osservando ho fatto una piccola comparazione fra il lutto vissuto dalla mia famiglia, e quello vissuto da altri. La differenza che ho notato è che la mia famiglia di fronte alla Morte non fa finta di nulla, gli altri spesso si. La Morte è drastica. La Morte non chiede permesso. La Morte è un cambiamento forte, d'impatto, autoritario. Spesso succede che la gente, dopo un lutto, continua a fare esattamente quello che faceva prima. La gente tende a fare finta che non sia successo nulla... A fare finta che quella persona ci sia ancora... Tutto uguale, tutto come prima. E' un meccanismo naturale che scatta nella Mente, perchè il Dolore è troppo grande. E' un meccanismo deleterio, però. Non puoi fare finta che è tutto come prima, perchè è falso. Non è più come prima... Una persona non c'è più. Ad un cambiamento devi rispondere con un cambiamento. Nella mia famiglia dopo questi due grandi lutti ci sono stati due grandi cambiamenti. Il lutto non lo devi nascondere, non devi fare finta che non ci sia. Tu puoi anche fare finta di non vederlo, ma lui è li. E' dentro di te. Sembra fermo, immobile, ma invece lavora piano piano... Ti divora a poco a poco. Ti annichilisce lentamente, finchè un giorno ti svegli e ti accorgi di essere diventato un'altra persona. No, il dolore lo devi vivere, attraversare. Lo devi gridare. La rabbia è naturale, e deve sfogarsi anch'essa. Quel dolore deve diventare poi fecondo. Devi cambiare qualcosa di radicale nella tua Vita. Cambiare, però, non significa dimenticare. Vi faccio un esempio: nel 1998 è morta mia sorella Cecilia, a 18 anni, in un incidente stradale. Sono seguiti, ovviamente, momenti di grande dolore e forte rabbia. Dov'è stato il cambiamento? Il cambiamento è stato che la mia famiglia si è resa nuovamente disponibile ad adottare un bambino... Ed è arrivato Andrea. Attenzione, però: Andrea non ha sostituito Cecilia! Cecilia è sempre rimasta nei nostri Pensieri, per quella che era ed è. Non abbiamo proiettato su Andrea la figura di mia sorella, anzi. Ad Andrea abbiamo riversato tutto il nostro Amore (anche quello che gli avrebbe dato lei). L'Amore non cancella il Dolore, non fa dimenticare. L'Amore sprigiona tutto il Positivo che c'è in te, e ti da la forza per continuare. Questa "ricetta" vale per tutti, credenti e non. Anzi, per un credente ancora meglio. Se davvero chi muore non scompare, ma ci guarda da lassù, non può che essere felice di fronte ad una reazione del genere. Qualche mese fa ho pubblicato su questo blog una poesia: "Sono nella stanza accanto"... Ve la ricordate? E' una poesia chiaramente di stampo religioso, ma la trovo ugualmente meravigliosa. In quella poesia si rispecchia il modo di vivere il lutto che ha avuto la mia famiglia, e che forse dovrebbero avere tutti (anche se è ovvio quanto possa essere difficile!). Ve la ripropongo:
L’amore non svanisce mai.
La morte non è niente,
io sono solo andato nella stanza accanto.
Io sono io. Voi siete voi.
Ciò che ero per voi lo sono sempre.
Datemi il nome che mi avete sempre dato.
parlatemi come mi avete sempre parlato.
Non usate un tono diverso.
Non abbiate un’aria solenne o triste.
Continuate a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme.
Sorridete, pensate a me, pregate per me.
Che il mio nome sia pronunciato in casa come lo è sempre stato,
senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra di tristezza.
La vita ha il significato di sempre.
Il filo non si è spezzato.
Perché dovrei essere fuori dai vostri pensieri?
Semplicemente perché sono fuori dalla vostra vista?
Io non sono lontano, sono solo dall’altro lato del cammino.
Cari amici, tranquilli... Non sono impazzito! Non mi sono trasformato in Gigi Marzullo: "si faccia una domanda, e si dia una risposta"! Vi spiego: alcuni amici hanno deciso d'intraprendere un percorso di riflessione, di dialogo, di conoscenza profonda... Mi hanno proposto di farne parte, ed io ho accettato volentieri. Sono state scelte alcune "domande esistenziali", fondamentali (quelle proposte sopra sono solo alcune, le altre nelle prossime pubblicazioni), a cui rispondere. A me sono subito piaciute. Il senso della Vita sta anche nel domandarsi su queste questioni fondamentali, che magari non hanno nemmeno una risposta, ma che non si può fingere di non vedere. E' importante fermarsi e riflettere. E' importante essere persone COSCIENTI, persone che s'interrogano, persone che VIVONO ad occhi aperti. Come questi amici hanno esteso l'invito a me, io lo estendo a voi. Se anche a voi stuzzicano cominciate a rispondere alle domande contenute in questo articolo... Se vi fa piacere poi le pubblicheremo nel blog. Inviate a: animablu@associazionelaquilone.org. Un abbraccio, per intanto... Anima Blu
Forum sociale mondiale: diritto alla terra e fine della fame

foto di TREVOR LEIGHTON
di Alessandra Fava
La sovranità alimentare, la fine della fame e i diritti alla terra sono i temi centrali dell’undicesimo Forum sociale mondiale. Li ritrovi nei banchetti che vendono riso e miglio, tra le tende della via Campesina e delle sue versioni africane, come Roppa (la rete di 15 stati africani) e la recente rete delle reti Paffo e in tanti incontri organizzati da ong come la Rete africana per il diritto all’alimentazione. Il tema torna se ti fermi a parlare con i contadini, che coltivino cotone in Mali o riso in Casamance nel sud del Senegal, ti parlano di diritto alla terra, della necessità di aiuti per comprare gli strumenti di lavoro, degli espropri che strappano la gente letteralmente dalla loro terra. Fenomeno che si ripete in Mali, come la Mauritania e il Senegal.
Una rete di associazioni dell’Africa occidentale, Roppa, che riunisce grandi e piccole associazioni e comitati di 15 stati (Benin, Burkina Faso, Costa d’avorio, Gambia, Guinea Bissau e Guinea Conakry, Mali, Nigeria, Senegal, Liberia, Sierra Leone, Capo verde, Togo, Ghana e Niger) e in Senegal trova la sua espressione nel Cncr (il Consiglio nazionale di concertazione e cooperazione dei contadini), è particolarmente attiva nel diffondere il concetto di diritto alla terra, di sostenibilità e soprattutto del diritto alla coltivazione di piccoli appezzamenti contro la logica delle grandi estensioni agricole. ‘’Visto che si stima che la popolazione dei 15 stati che aderiscono a Roppa è di 250 milioni di persone e che i contadini sono l’80 per cento della popolazione, noi rappresentiamo almeno 150 milioni di persone’’, dice il presidente, Djibo Bagna, un nigeriano, sotto una delle tende più animate dell’accampamento del Forum sociale mondiale. Sotto la tenda, gente che va, gente che viene, un calendario di dibattiti e testimonianze, diversi incontri di ong per rafforzare i legami e diventare un soggetto politico sempre più forte.
Il Forum per le associazioni e le reti di contadini è un’occasione più unica che rara per costruire ulteriori ponti, alleanze, reti con popoli limitrofi, distanti magari qualche centinaia di chilometri, ma giorni di viaggio su strade malconce. Occasione unica perché centinaia di persone dal Ghana e dal Burkina Faso come dal Mali e dalla Mauritania, hanno percorso in carovana distanze considerevoli pur di arrivare all’appuntamento internazionale.
Sono state particolarmente toccanti le testimonianze di una tavola rotonda sulle espropriazioni in diversi paesi africani. Un contadino maliano ha raccontato di essere stato picchiato finché non ha lasciato la sua terra. Gliel’hanno confiscata con la scusa che non ne è proprietario e non ha un contratto d’affitto. ‘’Fanno sempre così – spiega un senegalese di Casamance, la regione agricola del sud del paese – anche da noi confiscano le terre per costruire un ospedale o un ufficio della posta. Arriva della gente del governo con tante carte e ti caccia. La maggior parte delle volte la suddivisione delle terre avviene a voce, per accordi tra noi contadini dello stesso villaggio. Invece ora basta non essere in posesso di un contratto scrittto e buttano tutti fuori, te, la tua casa, gli animali e la tua famiglia’’.
Il rischio è che dalla costruzione di un ufficio postale si passi alle confische di estensioni maggiori da dare alle grandi multinazionali dell’agricoltura, com’è successo nell’Africa orientale e in America latina. ‘’Il mito dell’agricoltura industriale non è ancora morto nonostante tanti fallimenti – dice il presidente d’onore di Roppa, il senegalese Mamadou Seissokho – Noi siamo convinti del contrario: per preservare il territorio, le sementi originarie di un paese, la cultura della terra, i contadini devono restare anche su piccoli appezzamenti. Bisogna preservare e proteggere un’agricoltura basata su piccole comunità e famiglie. Certo siamo scomodi, diciamo no agli ogm, all’industrializzazione e agli esperti calati dall’alto che siano americani o europei. Siamo convinti che i contadini abbiano le conoscenze sufficienti per gestire al meglio la loro terra. Bisognerebbe solo che i nostri governanti ci stessero un po’ più a sentire e allora si troverebbero anche mezzi e nuove tecnologie per migliorare le rese delle coltivazioni’’.
Produzione, alimentazione e autosufficienza sono davvero il tema fondamentale del Forum. Lo hanno scritto anche giovanissimi senegalesi, mauritani e maliani, stimolati a raccontare ‘’qual è la tua utopia?’’ in un corner promosso da cinque ragazzi europei. Tra le frasi lasciate su grandi cartelli si legge: ‘’la mia utopia è veder sparire la povertà, la miseria, la fame e le guerre in Africa’’. ‘’Tutti qui parlano di agricoltura perché dovremo affrontare i cambiamenti climatici, costruire uno sfruttamento sostenibile e soprattutto nutrire i nostri popoli – conclude Sessoukho - Finora dallo stato non abbiamo avuto nessun sostegno’’.
Se infatti il governo del presidente del Senegal Abdoulaye Wade si vanta di aver raggiunto l’autosufficienza alimentare per tutti i senegalesi (12 milioni di abitanti) col progetto Goana (battezzata pomposamente ‘’La grande offensiva agricola per il nutrimento e l’abbondanza’’), lanciata nell’aprile del 2008, e di aver distribuito nell’ambito dello stesso progetto 2 milioni e 630 mila tonnellate di sementi, a sentire quelli del Cncr, Goana è costato un fortuna (344 miliardi di franchi senegalesi pari a circa 520 milioni di euro) e non ha funzionato per niente. ‘’Il 40 per cento delle sementi non sono andate ai contadini, lo ha ammesso anche il presidente – dice il tesoriere nazionale di Roppa, la Federazione di organizzazioni contadine, Abdou Madji Badie, che arriva da Casamance nel sud del paese – La maggior parte delle partite di sementi sono finite ai commercianti, sono state vendute nei paesi limitrofi o addirittura sono finite in pentola, vale a dire che qualcuno se l’è letteralmente mangiate. Non c’è stata una concertazione sufficiente, il programma ha funzionato in minima parte. L’aspetto positivo è che il progetto almeno ha dimostrato che il governo è sensibile all’argomento. La speranza è che in futuro i nostri amministratori sappiano coinvolgere maggiormente le nostre organizzazioni visto che siamo una rete capillare che conta migliaia di associazioni e comitati di villaggio. Per questo il nostro slogan è ‘’per nutrire il Senegal investiamo nell’agricoltura familiare e appoggiamola. No all’agricoltura industriale. Mi sembra sufficientemente chiaro’’.
Una delle risposte per gli agricoltori resta intanto il commercio equosolidale, specie per chi produce beni non deperibili. La fondazione Fairtrade distribuisce al Forum un dossier nel quale denuncia il fatto che Stati uniti, Cina, India e Ue messi insieme hanno sborsato negli ultimi nove anni, da Doha a oggi, più di 41 miliardi di dollari in sovvenzioni ai loro produttori di cotone (31 solo Ue e Usa), facendo una concorrenza sleale a dieci milioni di piccoli produttori di cotone dell’Africa occidentale. ‘’L’unico mezzo per resistere sul mercato per noi è vendere il cotone al mercato solidale dove ci danno 270 franchi senegalesi al chilo (40 centesimi di euro) – spiega Demba Mballo 35 anni, un contadino che coltiva il cotone nella regione di Koldha, nel sud del Senegal – Sul mercato normale abbiamo subito delle crisi terribili come quella del 2007 quando da 195 franchi senegalesi al chilo siamo passati a 185. Adesso va un po’ meglio, siamo a 205 ma non è abbastanza per nutrire una famiglia. Se continua così finirà che le coltivazioni di cotone spariranno dall’Africa’’.
In effetti già ora la Cina, primo produttore al mondo, si prende una fetta del 32,5 della produzione globale, 34 per cento gli Usa, 18 per cento l’India. Demba ha due mogli e cinque figli e per sopravvivere nel suo villaggio, Seregnari nel dipartimento di Villegarà, coltiva anche miglio e riso. ‘’I contadini sono gli ultimi a guadagnarci qualcosa – esclama – basta pensare che mentre noi veniamo pagati una miseria, sul mercato delle fibre il valore del cotone è triplicato’’. Un contadino maliano, Moussa Doumbia, 45 anni, 9 figli, commenta che la vita si è fatta sempre più difficile: ‘’a volte non riesco a dormire. La situazione è insopportabile. Faccio tre tonnellate di cotone all’anno e riesco a racimolare solo un po’ più di 300 dollari. Il prezzo del cotone non basta agli agricoltori per sopravvivere e così coltivo anche arachidi, riso e cavoli per nutrire la mia famiglia e mi faccio aiutare anche da due fratelli emigrati in Costa d’Avorio e Spagna.’’. Per il Mali il cotone è un elemento fondamentale della tenuta economica: rappresenta il 40 per cento delle rendite agricole e dà lavoro a due milioni e mezzo di persone.
Per costruire una massa critica, le reti di associazioni contadine hanno capito che bisogna allargare la base. Così lo scorso ottobre è nata la rete delle reti africane, Paffo (Panafrican Farmers Forum): ‘’è una federazione panafricana che riunisce 5 reti regionali e nazionali dei contadini, compresa Roppa – spiega Giosuè Di Salvo, responsabile delle campagne d’informazione per Mani tese, al Forum di Dakar – in pratica i contadini africani si stanno organizzando dal basso, si uniscono in una logica panafricana per diventare un interlocutore forte nei confronti dell'Unione africana (Ua)’’.