lunedì 28 febbraio 2011

Forum sociale mondiale: diritto alla terra e fine della fame


foto di TREVOR LEIGHTON

di Alessandra Fava

La sovranità alimentare, la fine della fame e i diritti alla terra sono i temi centrali dell’undicesimo Forum sociale mondiale. Li ritrovi nei banchetti che vendono riso e miglio, tra le tende della via Campesina e delle sue versioni africane, come Roppa (la rete di 15 stati africani) e la recente rete delle reti Paffo e in tanti incontri organizzati da ong come la Rete africana per il diritto all’alimentazione. Il tema torna se ti fermi a parlare con i contadini, che coltivino cotone in Mali o riso in Casamance nel sud del Senegal, ti parlano di diritto alla terra, della necessità di aiuti per comprare gli strumenti di lavoro, degli espropri che strappano la gente letteralmente dalla loro terra. Fenomeno che si ripete in Mali, come la Mauritania e il Senegal.
Una rete di associazioni dell’Africa occidentale, Roppa, che riunisce grandi e piccole associazioni e comitati di 15 stati (Benin, Burkina Faso, Costa d’avorio, Gambia, Guinea Bissau e Guinea Conakry, Mali, Nigeria, Senegal, Liberia, Sierra Leone, Capo verde, Togo, Ghana e Niger) e in Senegal trova la sua espressione nel Cncr (il Consiglio nazionale di concertazione e cooperazione dei contadini), è particolarmente attiva nel diffondere il concetto di diritto alla terra, di sostenibilità e soprattutto del diritto alla coltivazione di piccoli appezzamenti contro la logica delle grandi estensioni agricole. ‘’Visto che si stima che la popolazione dei 15 stati che aderiscono a Roppa è di 250 milioni di persone e che i contadini sono l’80 per cento della popolazione, noi rappresentiamo almeno 150 milioni di persone’’, dice il presidente, Djibo Bagna, un nigeriano, sotto una delle tende più animate dell’accampamento del Forum sociale mondiale. Sotto la tenda, gente che va, gente che viene, un calendario di dibattiti e testimonianze, diversi incontri di ong per rafforzare i legami e diventare un soggetto politico sempre più forte.
Il Forum per le associazioni e le reti di contadini è un’occasione più unica che rara per costruire ulteriori ponti, alleanze, reti con popoli limitrofi, distanti magari qualche centinaia di chilometri, ma giorni di viaggio su strade malconce. Occasione unica perché centinaia di persone dal Ghana e dal Burkina Faso come dal Mali e dalla Mauritania, hanno percorso in carovana distanze considerevoli pur di arrivare all’appuntamento internazionale.

Sono state particolarmente toccanti le testimonianze di una tavola rotonda sulle espropriazioni in diversi paesi africani. Un contadino maliano ha raccontato di essere stato picchiato finché non ha lasciato la sua terra. Gliel’hanno confiscata con la scusa che non ne è proprietario e non ha un contratto d’affitto. ‘’Fanno sempre così – spiega un senegalese di Casamance, la regione agricola del sud del paese – anche da noi confiscano le terre per costruire un ospedale o un ufficio della posta. Arriva della gente del governo con tante carte e ti caccia. La maggior parte delle volte la suddivisione delle terre avviene a voce, per accordi tra noi contadini dello stesso villaggio. Invece ora basta non essere in posesso di un contratto scrittto e buttano tutti fuori, te, la tua casa, gli animali e la tua famiglia’’.

Il rischio è che dalla costruzione di un ufficio postale si passi alle confische di estensioni maggiori da dare alle grandi multinazionali dell’agricoltura, com’è successo nell’Africa orientale e in America latina. ‘’Il mito dell’agricoltura industriale non è ancora morto nonostante tanti fallimenti – dice il presidente d’onore di Roppa, il senegalese Mamadou Seissokho – Noi siamo convinti del contrario: per preservare il territorio, le sementi originarie di un paese, la cultura della terra, i contadini devono restare anche su piccoli appezzamenti. Bisogna preservare e proteggere un’agricoltura basata su piccole comunità e famiglie. Certo siamo scomodi, diciamo no agli ogm, all’industrializzazione e agli esperti calati dall’alto che siano americani o europei. Siamo convinti che i contadini abbiano le conoscenze sufficienti per gestire al meglio la loro terra. Bisognerebbe solo che i nostri governanti ci stessero un po’ più a sentire e allora si troverebbero anche mezzi e nuove tecnologie per migliorare le rese delle coltivazioni’’.
Produzione, alimentazione e autosufficienza sono davvero il tema fondamentale del Forum. Lo hanno scritto anche giovanissimi senegalesi, mauritani e maliani, stimolati a raccontare ‘’qual è la tua utopia?’’ in un corner promosso da cinque ragazzi europei. Tra le frasi lasciate su grandi cartelli si legge: ‘’la mia utopia è veder sparire la povertà, la miseria, la fame e le guerre in Africa’’. ‘’Tutti qui parlano di agricoltura perché dovremo affrontare i cambiamenti climatici, costruire uno sfruttamento sostenibile e soprattutto nutrire i nostri popoli – conclude Sessoukho - Finora dallo stato non abbiamo avuto nessun sostegno’’.
Se infatti il governo del presidente del Senegal Abdoulaye Wade si vanta di aver raggiunto l’autosufficienza alimentare per tutti i senegalesi (12 milioni di abitanti) col progetto Goana (battezzata pomposamente ‘’La grande offensiva agricola per il nutrimento e l’abbondanza’’), lanciata nell’aprile del 2008, e di aver distribuito nell’ambito dello stesso progetto 2 milioni e 630 mila tonnellate di sementi, a sentire quelli del Cncr, Goana è costato un fortuna (344 miliardi di franchi senegalesi pari a circa 520 milioni di euro) e non ha funzionato per niente. ‘’Il 40 per cento delle sementi non sono andate ai contadini, lo ha ammesso anche il presidente – dice il tesoriere nazionale di Roppa, la Federazione di organizzazioni contadine, Abdou Madji Badie, che arriva da Casamance nel sud del paese – La maggior parte delle partite di sementi sono finite ai commercianti, sono state vendute nei paesi limitrofi o addirittura sono finite in pentola, vale a dire che qualcuno se l’è letteralmente mangiate. Non c’è stata una concertazione sufficiente, il programma ha funzionato in minima parte. L’aspetto positivo è che il progetto almeno ha dimostrato che il governo è sensibile all’argomento. La speranza è che in futuro i nostri amministratori sappiano coinvolgere maggiormente le nostre organizzazioni visto che siamo una rete capillare che conta migliaia di associazioni e comitati di villaggio. Per questo il nostro slogan è ‘’per nutrire il Senegal investiamo nell’agricoltura familiare e appoggiamola. No all’agricoltura industriale. Mi sembra sufficientemente chiaro’’.
Una delle risposte per gli agricoltori resta intanto il commercio equosolidale, specie per chi produce beni non deperibili. La fondazione Fairtrade distribuisce al Forum un dossier nel quale denuncia il fatto che Stati uniti, Cina, India e Ue messi insieme hanno sborsato negli ultimi nove anni, da Doha a oggi, più di 41 miliardi di dollari in sovvenzioni ai loro produttori di cotone (31 solo Ue e Usa), facendo una concorrenza sleale a dieci milioni di piccoli produttori di cotone dell’Africa occidentale. ‘’L’unico mezzo per resistere sul mercato per noi è vendere il cotone al mercato solidale dove ci danno 270 franchi senegalesi al chilo (40 centesimi di euro) – spiega Demba Mballo 35 anni, un contadino che coltiva il cotone nella regione di Koldha, nel sud del Senegal – Sul mercato normale abbiamo subito delle crisi terribili come quella del 2007 quando da 195 franchi senegalesi al chilo siamo passati a 185. Adesso va un po’ meglio, siamo a 205 ma non è abbastanza per nutrire una famiglia. Se continua così finirà che le coltivazioni di cotone spariranno dall’Africa’’.

In effetti già ora la Cina, primo produttore al mondo, si prende una fetta del 32,5 della produzione globale, 34 per cento gli Usa, 18 per cento l’India. Demba ha due mogli e cinque figli e per sopravvivere nel suo villaggio, Seregnari nel dipartimento di Villegarà, coltiva anche miglio e riso. ‘’I contadini sono gli ultimi a guadagnarci qualcosa – esclama – basta pensare che mentre noi veniamo pagati una miseria, sul mercato delle fibre il valore del cotone è triplicato’’. Un contadino maliano, Moussa Doumbia, 45 anni, 9 figli, commenta che la vita si è fatta sempre più difficile: ‘’a volte non riesco a dormire. La situazione è insopportabile. Faccio tre tonnellate di cotone all’anno e riesco a racimolare solo un po’ più di 300 dollari. Il prezzo del cotone non basta agli agricoltori per sopravvivere e così coltivo anche arachidi, riso e cavoli per nutrire la mia famiglia e mi faccio aiutare anche da due fratelli emigrati in Costa d’Avorio e Spagna.’’. Per il Mali il cotone è un elemento fondamentale della tenuta economica: rappresenta il 40 per cento delle rendite agricole e dà lavoro a due milioni e mezzo di persone.
Per costruire una massa critica, le reti di associazioni contadine hanno capito che bisogna allargare la base. Così lo scorso ottobre è nata la rete delle reti africane, Paffo (Panafrican Farmers Forum): ‘’è una federazione panafricana che riunisce 5 reti regionali e nazionali dei contadini, compresa Roppa – spiega Giosuè Di Salvo, responsabile delle campagne d’informazione per Mani tese, al Forum di Dakar – in pratica i contadini africani si stanno organizzando dal basso, si uniscono in una logica panafricana per diventare un interlocutore forte nei confronti dell'Unione africana (Ua)’’.


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