lunedì 28 febbraio 2011

Domande esistenziali... (Parte 1)

Perchè esiste la sofferenza?

Bhè, questa è una di quelle domande da un milione di euro! E' una domanda a cui il genere umano non potrà mai dare una risposta completamente risolutiva. Con la Ragione, con la Logica, possiamo azzardare ipotesi (ed è importante continuare a farlo), ma è ovvio che rimangono soltanto ipotesi. C'è qualcosa che ci manca, ci sono dei passaggi fondamentali che ci sfuggono... Viviamo immersi in questa Realtà terrena, Realtà che conosciamo (grazie ai progressi scientifico - tecnologici), studiamo, comprendiamo... Tuttavia i processi iniziali, le "motivazioni" che hanno provocato la Realtà e noi stessi, non li conosceremo mai. Non ci sarà mai nessuna tecnologia o Scienza che potrà dirci con certezza perchè siamo su questa Terra, dove andremo a finire, eccetera eccetera. Diciamo che è un pò come leggere un bellissimo romanzo, scritto benissimo, dettagliato e particolareggiato, a cui però manca sia l'Inizio che la Fine. Ti girano un pò le scatole, eh? Ti rimane l'amarezza in bocca. Hai conosciuto una storia meravigliosa, una favola, ma non saprai mai quali sono le motivazioni da cui è partito tutto ciò che hai letto. E' un peccato, un vero peccato. Certo, certo... Poi c'è la Fede. La Fede prova a dare delle risposte risolutive, che io chiamerei "speranze". La Fede è ovvio, però, che contrasta totalmente con la Logica. Fede e Logica sono due binari che corrono, paralleli ma ben distaccati. Fede significa credere, significa fidarsi, significa accettare che ciò che ti vien detto sia vero a prescindere. Come sapete io sono agnostico: se devo scegliere fra Fede e Logica prediligo la seconda, senza però escludere che ciò che afferma la Fede possa anche essere vero. Attenzione, prediligere la Logica non significa essere materialisti, o rassegnati, o quant'altro! Anzi! Quando la Logica viene bagnata con la Spiritualità (da non confondere con Fede) si possono scoprire profondità e territori inesplorati, si può vivere "ad occhi aperti", si può VIVERE DAVVERO (l'unica vera diversità che esiste nel genere umano è tra chi VIVE e chi SOPRAVVIVE). Fatta questa premessa, veniamo alla domanda. Perchè esiste la Sofferenza? La mia risposta, ovviamente parziale, è che la Sofferenza esiste in quanto opposta alla Dolcezza. Il Dna della nostra Realtà terrena ed umana è costituito da tanti Elementi, opposti ma allo stesso tempo inscindibili fra loro (yin e yang, uomo e donna, Bene e Male, notte e giorno, Amore e Odio). Si potrebbe forse ipotizzare che siano, addirittura, due lati di uno stesso corpo. Il meccanismo della Vita funziona e va avanti soltanto perchè si basa sugli opposti, altrimenti non ci sarebbe nulla. Io, pur essendo agnostico, non sono un relativista. Anzi. Io dico che esiste un Bene ed esiste un Male, ben distinti e ben visibili entrambi. Qualunque caratteristica qualitativa giri intorno all'Uomo può essere posizionata o nel Bene o nel Male. E' ovvio che, esistendo Bene e Male, esistono anche Sofferenza e Dolcezza. Sono delle sub - categorie, diciamo. Il punto che ci sfugge è: cosa sono nella loro Essenza Bene e Male? Da dove nascono? Qual'è il loro scopo? Si potrebbe rispondere che è solo un caso, che in realtà non hanno una forma costituita... Oppure si potrebbe rispondere che il Bene l'ha creato Dio e il Male il Diavolo (a che scopo, poi? E' un pò troppo epica come versione quella del continuo duello fra Dio e il Demonio, non trovate?)... Non so voi, ma a me non mi convincono entrambe. Mi sfugge ancora qualcosa. Personalmente credo che questi opposti servano a stimolare l'Uomo e la Vita. La nostra Realtà non è piatta, è un continuo movimento. Se esistesse soltanto il Bene c'adagieremmo, e il nostro processo di crescita interiore s'arresterebbe. La Sofferenza è ciò che ci punzecchia. La Sofferenza è un pò come il frustino per i cavalli: stimola a correre. La Sofferenza non va mai ricercata, ma quando arriva va vissuta e "sfruttata". Il Dolore è un canale importantissimo per conoscerci, per viaggiare dentro noi stessi, per crescere e maturare. Ogni Dolore non vissuto è un'occasione sprecata... Facendo una battuta si potrebbe dire che la Vita è come il maiale: non va buttato nulla.

Come superare/vivere la separazione dalla persona amata?

La Morte è ciò che lascia senza parole. La Morte non ha spiegazioni. La Morte tira in campo, inevitabilmente, il discorso di una Vita successiva. In genere io sono una persona che ha sempre parole per tutto, perchè credo che ragionando si possono trovare vie d'uscita a qualunque situazione complicata. Le uniche situazioni in cui mi trovo davvero in imbarazzo, in cui ogni parola sembra fuori posto, è di fronte alla Morte. Quando qualcuno mi comunica che una persona a lui cara è scomparsa non so davvero cosa dirgli. Mi verrebbe da esprimergli tutto il mio Amore e tutta la mia Comprensione, ma è facile Amare e Comprendere quando il Dolore non ha toccato te. Siamo tutti bravi a dire: non sai quanto mi dispiace, lo rivedrai nell'Altra Vita, ti proteggerà da lassù. Mi metto nei panni dell'altra persona... Al suo posto, di fronte a frasi del genere, mi manderei volentieri a fare in culo. No, prediligo il silenzio. La mia vicinanza la dimostro in altre modalità, meno ipocrite e più rispettose. Io ho "perso" due sorelle. Il dolore per un lutto l'ho vissuto, e l'ho visto nelle facce di chi con me viveva quel lutto. Ho conosciuto persone che hanno avuto altri grossi lutti. Osservando ho fatto una piccola comparazione fra il lutto vissuto dalla mia famiglia, e quello vissuto da altri. La differenza che ho notato è che la mia famiglia di fronte alla Morte non fa finta di nulla, gli altri spesso si. La Morte è drastica. La Morte non chiede permesso. La Morte è un cambiamento forte, d'impatto, autoritario. Spesso succede che la gente, dopo un lutto, continua a fare esattamente quello che faceva prima. La gente tende a fare finta che non sia successo nulla... A fare finta che quella persona ci sia ancora... Tutto uguale, tutto come prima. E' un meccanismo naturale che scatta nella Mente, perchè il Dolore è troppo grande. E' un meccanismo deleterio, però. Non puoi fare finta che è tutto come prima, perchè è falso. Non è più come prima... Una persona non c'è più. Ad un cambiamento devi rispondere con un cambiamento. Nella mia famiglia dopo questi due grandi lutti ci sono stati due grandi cambiamenti. Il lutto non lo devi nascondere, non devi fare finta che non ci sia. Tu puoi anche fare finta di non vederlo, ma lui è li. E' dentro di te. Sembra fermo, immobile, ma invece lavora piano piano... Ti divora a poco a poco. Ti annichilisce lentamente, finchè un giorno ti svegli e ti accorgi di essere diventato un'altra persona. No, il dolore lo devi vivere, attraversare. Lo devi gridare. La rabbia è naturale, e deve sfogarsi anch'essa. Quel dolore deve diventare poi fecondo. Devi cambiare qualcosa di radicale nella tua Vita. Cambiare, però, non significa dimenticare. Vi faccio un esempio: nel 1998 è morta mia sorella Cecilia, a 18 anni, in un incidente stradale. Sono seguiti, ovviamente, momenti di grande dolore e forte rabbia. Dov'è stato il cambiamento? Il cambiamento è stato che la mia famiglia si è resa nuovamente disponibile ad adottare un bambino... Ed è arrivato Andrea. Attenzione, però: Andrea non ha sostituito Cecilia! Cecilia è sempre rimasta nei nostri Pensieri, per quella che era ed è. Non abbiamo proiettato su Andrea la figura di mia sorella, anzi. Ad Andrea abbiamo riversato tutto il nostro Amore (anche quello che gli avrebbe dato lei). L'Amore non cancella il Dolore, non fa dimenticare. L'Amore sprigiona tutto il Positivo che c'è in te, e ti da la forza per continuare. Questa "ricetta" vale per tutti, credenti e non. Anzi, per un credente ancora meglio. Se davvero chi muore non scompare, ma ci guarda da lassù, non può che essere felice di fronte ad una reazione del genere. Qualche mese fa ho pubblicato su questo blog una poesia: "Sono nella stanza accanto"... Ve la ricordate? E' una poesia chiaramente di stampo religioso, ma la trovo ugualmente meravigliosa. In quella poesia si rispecchia il modo di vivere il lutto che ha avuto la mia famiglia, e che forse dovrebbero avere tutti (anche se è ovvio quanto possa essere difficile!). Ve la ripropongo:

L’amore non svanisce mai.
La morte non è niente,
io sono solo andato nella stanza accanto.
Io sono io. Voi siete voi.
Ciò che ero per voi lo sono sempre.
Datemi il nome che mi avete sempre dato.
parlatemi come mi avete sempre parlato.
Non usate un tono diverso.
Non abbiate un’aria solenne o triste.
Continuate a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme.
Sorridete, pensate a me, pregate per me.
Che il mio nome sia pronunciato in casa come lo è sempre stato,
senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra di tristezza.
La vita ha il significato di sempre.
Il filo non si è spezzato.
Perché dovrei essere fuori dai vostri pensieri?
Semplicemente perché sono fuori dalla vostra vista?
Io non sono lontano, sono solo dall’altro lato del cammino.

Cari amici, tranquilli... Non sono impazzito! Non mi sono trasformato in Gigi Marzullo: "si faccia una domanda, e si dia una risposta"! Vi spiego: alcuni amici hanno deciso d'intraprendere un percorso di riflessione, di dialogo, di conoscenza profonda... Mi hanno proposto di farne parte, ed io ho accettato volentieri. Sono state scelte alcune "domande esistenziali", fondamentali (quelle proposte sopra sono solo alcune, le altre nelle prossime pubblicazioni), a cui rispondere. A me sono subito piaciute. Il senso della Vita sta anche nel domandarsi su queste questioni fondamentali, che magari non hanno nemmeno una risposta, ma che non si può fingere di non vedere. E' importante fermarsi e riflettere. E' importante essere persone COSCIENTI, persone che s'interrogano, persone che VIVONO ad occhi aperti. Come questi amici hanno esteso l'invito a me, io lo estendo a voi. Se anche a voi stuzzicano cominciate a rispondere alle domande contenute in questo articolo... Se vi fa piacere poi le pubblicheremo nel blog. Inviate a: animablu@associazionelaquilone.org. Un abbraccio, per intanto... Anima Blu

Forum sociale mondiale: diritto alla terra e fine della fame


foto di TREVOR LEIGHTON

di Alessandra Fava

La sovranità alimentare, la fine della fame e i diritti alla terra sono i temi centrali dell’undicesimo Forum sociale mondiale. Li ritrovi nei banchetti che vendono riso e miglio, tra le tende della via Campesina e delle sue versioni africane, come Roppa (la rete di 15 stati africani) e la recente rete delle reti Paffo e in tanti incontri organizzati da ong come la Rete africana per il diritto all’alimentazione. Il tema torna se ti fermi a parlare con i contadini, che coltivino cotone in Mali o riso in Casamance nel sud del Senegal, ti parlano di diritto alla terra, della necessità di aiuti per comprare gli strumenti di lavoro, degli espropri che strappano la gente letteralmente dalla loro terra. Fenomeno che si ripete in Mali, come la Mauritania e il Senegal.
Una rete di associazioni dell’Africa occidentale, Roppa, che riunisce grandi e piccole associazioni e comitati di 15 stati (Benin, Burkina Faso, Costa d’avorio, Gambia, Guinea Bissau e Guinea Conakry, Mali, Nigeria, Senegal, Liberia, Sierra Leone, Capo verde, Togo, Ghana e Niger) e in Senegal trova la sua espressione nel Cncr (il Consiglio nazionale di concertazione e cooperazione dei contadini), è particolarmente attiva nel diffondere il concetto di diritto alla terra, di sostenibilità e soprattutto del diritto alla coltivazione di piccoli appezzamenti contro la logica delle grandi estensioni agricole. ‘’Visto che si stima che la popolazione dei 15 stati che aderiscono a Roppa è di 250 milioni di persone e che i contadini sono l’80 per cento della popolazione, noi rappresentiamo almeno 150 milioni di persone’’, dice il presidente, Djibo Bagna, un nigeriano, sotto una delle tende più animate dell’accampamento del Forum sociale mondiale. Sotto la tenda, gente che va, gente che viene, un calendario di dibattiti e testimonianze, diversi incontri di ong per rafforzare i legami e diventare un soggetto politico sempre più forte.
Il Forum per le associazioni e le reti di contadini è un’occasione più unica che rara per costruire ulteriori ponti, alleanze, reti con popoli limitrofi, distanti magari qualche centinaia di chilometri, ma giorni di viaggio su strade malconce. Occasione unica perché centinaia di persone dal Ghana e dal Burkina Faso come dal Mali e dalla Mauritania, hanno percorso in carovana distanze considerevoli pur di arrivare all’appuntamento internazionale.

Sono state particolarmente toccanti le testimonianze di una tavola rotonda sulle espropriazioni in diversi paesi africani. Un contadino maliano ha raccontato di essere stato picchiato finché non ha lasciato la sua terra. Gliel’hanno confiscata con la scusa che non ne è proprietario e non ha un contratto d’affitto. ‘’Fanno sempre così – spiega un senegalese di Casamance, la regione agricola del sud del paese – anche da noi confiscano le terre per costruire un ospedale o un ufficio della posta. Arriva della gente del governo con tante carte e ti caccia. La maggior parte delle volte la suddivisione delle terre avviene a voce, per accordi tra noi contadini dello stesso villaggio. Invece ora basta non essere in posesso di un contratto scrittto e buttano tutti fuori, te, la tua casa, gli animali e la tua famiglia’’.

Il rischio è che dalla costruzione di un ufficio postale si passi alle confische di estensioni maggiori da dare alle grandi multinazionali dell’agricoltura, com’è successo nell’Africa orientale e in America latina. ‘’Il mito dell’agricoltura industriale non è ancora morto nonostante tanti fallimenti – dice il presidente d’onore di Roppa, il senegalese Mamadou Seissokho – Noi siamo convinti del contrario: per preservare il territorio, le sementi originarie di un paese, la cultura della terra, i contadini devono restare anche su piccoli appezzamenti. Bisogna preservare e proteggere un’agricoltura basata su piccole comunità e famiglie. Certo siamo scomodi, diciamo no agli ogm, all’industrializzazione e agli esperti calati dall’alto che siano americani o europei. Siamo convinti che i contadini abbiano le conoscenze sufficienti per gestire al meglio la loro terra. Bisognerebbe solo che i nostri governanti ci stessero un po’ più a sentire e allora si troverebbero anche mezzi e nuove tecnologie per migliorare le rese delle coltivazioni’’.
Produzione, alimentazione e autosufficienza sono davvero il tema fondamentale del Forum. Lo hanno scritto anche giovanissimi senegalesi, mauritani e maliani, stimolati a raccontare ‘’qual è la tua utopia?’’ in un corner promosso da cinque ragazzi europei. Tra le frasi lasciate su grandi cartelli si legge: ‘’la mia utopia è veder sparire la povertà, la miseria, la fame e le guerre in Africa’’. ‘’Tutti qui parlano di agricoltura perché dovremo affrontare i cambiamenti climatici, costruire uno sfruttamento sostenibile e soprattutto nutrire i nostri popoli – conclude Sessoukho - Finora dallo stato non abbiamo avuto nessun sostegno’’.
Se infatti il governo del presidente del Senegal Abdoulaye Wade si vanta di aver raggiunto l’autosufficienza alimentare per tutti i senegalesi (12 milioni di abitanti) col progetto Goana (battezzata pomposamente ‘’La grande offensiva agricola per il nutrimento e l’abbondanza’’), lanciata nell’aprile del 2008, e di aver distribuito nell’ambito dello stesso progetto 2 milioni e 630 mila tonnellate di sementi, a sentire quelli del Cncr, Goana è costato un fortuna (344 miliardi di franchi senegalesi pari a circa 520 milioni di euro) e non ha funzionato per niente. ‘’Il 40 per cento delle sementi non sono andate ai contadini, lo ha ammesso anche il presidente – dice il tesoriere nazionale di Roppa, la Federazione di organizzazioni contadine, Abdou Madji Badie, che arriva da Casamance nel sud del paese – La maggior parte delle partite di sementi sono finite ai commercianti, sono state vendute nei paesi limitrofi o addirittura sono finite in pentola, vale a dire che qualcuno se l’è letteralmente mangiate. Non c’è stata una concertazione sufficiente, il programma ha funzionato in minima parte. L’aspetto positivo è che il progetto almeno ha dimostrato che il governo è sensibile all’argomento. La speranza è che in futuro i nostri amministratori sappiano coinvolgere maggiormente le nostre organizzazioni visto che siamo una rete capillare che conta migliaia di associazioni e comitati di villaggio. Per questo il nostro slogan è ‘’per nutrire il Senegal investiamo nell’agricoltura familiare e appoggiamola. No all’agricoltura industriale. Mi sembra sufficientemente chiaro’’.
Una delle risposte per gli agricoltori resta intanto il commercio equosolidale, specie per chi produce beni non deperibili. La fondazione Fairtrade distribuisce al Forum un dossier nel quale denuncia il fatto che Stati uniti, Cina, India e Ue messi insieme hanno sborsato negli ultimi nove anni, da Doha a oggi, più di 41 miliardi di dollari in sovvenzioni ai loro produttori di cotone (31 solo Ue e Usa), facendo una concorrenza sleale a dieci milioni di piccoli produttori di cotone dell’Africa occidentale. ‘’L’unico mezzo per resistere sul mercato per noi è vendere il cotone al mercato solidale dove ci danno 270 franchi senegalesi al chilo (40 centesimi di euro) – spiega Demba Mballo 35 anni, un contadino che coltiva il cotone nella regione di Koldha, nel sud del Senegal – Sul mercato normale abbiamo subito delle crisi terribili come quella del 2007 quando da 195 franchi senegalesi al chilo siamo passati a 185. Adesso va un po’ meglio, siamo a 205 ma non è abbastanza per nutrire una famiglia. Se continua così finirà che le coltivazioni di cotone spariranno dall’Africa’’.

In effetti già ora la Cina, primo produttore al mondo, si prende una fetta del 32,5 della produzione globale, 34 per cento gli Usa, 18 per cento l’India. Demba ha due mogli e cinque figli e per sopravvivere nel suo villaggio, Seregnari nel dipartimento di Villegarà, coltiva anche miglio e riso. ‘’I contadini sono gli ultimi a guadagnarci qualcosa – esclama – basta pensare che mentre noi veniamo pagati una miseria, sul mercato delle fibre il valore del cotone è triplicato’’. Un contadino maliano, Moussa Doumbia, 45 anni, 9 figli, commenta che la vita si è fatta sempre più difficile: ‘’a volte non riesco a dormire. La situazione è insopportabile. Faccio tre tonnellate di cotone all’anno e riesco a racimolare solo un po’ più di 300 dollari. Il prezzo del cotone non basta agli agricoltori per sopravvivere e così coltivo anche arachidi, riso e cavoli per nutrire la mia famiglia e mi faccio aiutare anche da due fratelli emigrati in Costa d’Avorio e Spagna.’’. Per il Mali il cotone è un elemento fondamentale della tenuta economica: rappresenta il 40 per cento delle rendite agricole e dà lavoro a due milioni e mezzo di persone.
Per costruire una massa critica, le reti di associazioni contadine hanno capito che bisogna allargare la base. Così lo scorso ottobre è nata la rete delle reti africane, Paffo (Panafrican Farmers Forum): ‘’è una federazione panafricana che riunisce 5 reti regionali e nazionali dei contadini, compresa Roppa – spiega Giosuè Di Salvo, responsabile delle campagne d’informazione per Mani tese, al Forum di Dakar – in pratica i contadini africani si stanno organizzando dal basso, si uniscono in una logica panafricana per diventare un interlocutore forte nei confronti dell'Unione africana (Ua)’’.