martedì 25 maggio 2010

Non mi riconosco più nel Tg1...


La lettera di Maria Luisa Busi


"Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto". E' questo uno dei punti centrali della lettera con cui Maria Luisa Busi ha annunciato l'intenzione di abbandonare la conduzione del Tg1. La missiva, tre cartelle e mezzo affisse nella bacheca della redazione del telegiornale, è indirizzata al direttore Augusto Minzolini e al Cdr, e per conoscenza al direttore generale della Rai Mauro Masi, al presidente dell'azienda Paolo Garimberti e al responsabile delle Risorse umane Luciano Flussi. Ecco il testo integrale.

"Caro direttore ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell'edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori".

"Come ha detto il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli: 'La più grande testata italiana, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la sua identità, parte dell'ascolto tradizionale".

"Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. E' stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola. Oggi l'informazione del Tg1 è un'informazione parziale e di parte. Dov'è il Paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d'Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c'è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l'onore di un nostro titolo.
E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell'Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè falliti? Dov'è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell'Italia esiste. Ma il tg1 l'ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale".
"L'Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un'informazione di parte - un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull'inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo - e l'infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo. Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale".
"Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto. Nell'affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. E' lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori".

"I fatti dell'Aquila ne sono stata la prova. Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. E' quello che accade quando si privilegia la comunicazione all'informazione, la propaganda alla verifica".

Nella lettera a Minzolini Busi tiene a fare un'ultima annotazione "più personale": "Ho fatto dell'onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto recentemente. Pertanto:
1) respingo l'accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente - ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della FNSI - le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito di leale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un arricchimento. Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c'è più alcuno spazio per la dialettica democratica al Tg1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.

2) Respingo l'accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e onesti. E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai, lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non debba trarre profitto dal proprio ruolo.

3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo l'intervista rilasciata a Repubblica, lettera nella quale hai sollecitato all'azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di "danneggiare il giornale per cui lavoro", con le mie dichiarazioni sui dati d'ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: 'il Tg1 darà conto delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a campagne ideologiche". Posso dirti che l'unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto. Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama - anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me diretta - hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni. Sono stata definita 'tosa ciacolante - ragazza chiacchierona - cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali' e via di questo passo. Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle 20. Thomas Bernhard in Antichi Maestri scrive decine di volte una parola che amo molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno".

E conclude: "Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità. Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere".
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ARCHIVIO Tg1, la cacciata dei tre conduttori decisa da Minzolini e percepita come un'epurazione Una conduttrice storica che non ha firmato il documento a favore del direttore sul caso Mills, va all'attacco
Busi: "Sì, è scattata una rappresaglia
mai visto osare tanto, e perdiamo ascolti"

"C'è un clima insostenibile in redazione. Non c'è più la dialettica tra le varie sensibilità"

Maria Luisa Busi, da vent'anni al Tg1, volto di punta dell'edizione delle 20, rischia di essere la prossima ad essere allontanata dal Tg1. Perché non ha firmato l'appello a favore del direttore Augusto Minzolini sul caso Mills. E a febbraio, quando era inviata a L'Aquila, agli abruzzesi che contestavano il direttore "Scodinzolini", lei non avrebbe opposto sufficiente resistenza. La Busi è nella "lista nera" del Tg1, ma accetta di parlare.

Busi, che clima si respira oggi al Tg1? Crede sia casuale che dalla conduzione vengano cancellati i volti di coloro che non hanno firmato la lettera in favore del direttore?

"Credo non sia affatto casuale. Credo si tratti di una rappresaglia. Come dice Franco Siddi, segretario della Fnsi. Una rappresaglia che prima dei colleghi, volti storici e professionisti liberi di questo giornale, ha colpito Massimo De Strobel, caporedattore centrale, uomo chiave della storica macchina del Tg1. Anche lui non firmatario di quella lettera, guarda caso. Anche lui rimosso senza una alternativa professionale credibile. Il clima? Il clima in redazione è insostenibile, in 21 anni ho visto altri direttori riconducibili all'area culturale del centrodestra (Vespa, Rossella, Minun), nessuno aveva mai osato tanto. In quanto al "rinnovamento", di cui parla il direttore Minzolini... di che stiamo parlando? Forse che alla Bbc, alla Cnn, nella tv pubblica francese, non conta la fidelizzazione del pubblico, rispetto ai volti storici? Nel senso di quelli che hanno fatto la storia del giornale e la sua credibilità. E poi che dire di De Strobel, che non va neppure in video".

I consiglieri Rai Rizzo Nervo e Van Straten parlano di determinazione "stalinista" del direttore del Tg1.

"Fanno bene i consiglieri ad usare parole forti. La verità è che il nostro è sempre stato un giornale in cui la dialettica nella redazione tra le diverse sensibilità è stata sempre rispettata. Come è sempre stata rispettata la pluralità di voci nel Paese".

C'è chi dice che il tg1 è tg schierato. Cosa ne pensa?

"Mi chiedo come si possa dire il contrario. È sotto gli occhi di tutti, di milioni di spettatori. Sempre meno, tra l'altro. Abbiamo perso pubblico siamo attestati al 26 per cento di ascolto. Incontro continuamente gente che dice, "io non vi guardo più". La gente più disparata. Difficile credere che non dipenda da due ordini di problemi: il primo, gli editoriali. Il direttore ha diritto a farli, ma non credo debba dimenticare che si tratta del primo giornale del servizio pubblico. Che non si era mai schierato a questi livelli sui temi cari al governo e alla presidenza del consiglio. Il secondo, è la rappresentazione del Paese. Al tg1 non si parla più della vita reale, dei problemi dei cittadini, di chi ha perso il lavoro, di chi non ce la fa, dei cassintegrati, dei precari della scuola".

I conduttori del Tg1 saltano. La prossima potrebbe essere lei. Si pente di non aver firmato quel documento in sostegno del direttore?

"Non mi pento affatto. Si apriva dicendo: al Tg1 non c'è alcun disagio... Non poteva essere una affermazione condivisibile né veritiera".

Voi conduttori ci mettete la faccia. Vi imbarazza la satira del Trio Medusa, che vi prende in giro per l'annuncio dei servizi leggeri del Tg1?

"Questo crea in me un grande imbarazzo. Esercito sempre il mio ruolo, come altri colleghi, nel cercare di evitare che l'infotainment (informazione-intrattenimento) dilaghi a dismisura come sta accadendo. Una volta, come sesta notizia abbiamo dato i cigni imprigionati dal ghiaccio in Ucraina e poche righe sullo sciopero generale in Sardegna. Senza nulla togliere ai colleghi che fanno quei pezzi cosiddetti leggeri, e cercano di farli al meglio, così non si può andare avanti. Ma il peggio è stato a L'Aquila, quando a protestare contro la troupe del Tg1 che guidavo, sono state centinaia di persone terremotate".

OGNI SCARRAFONE E' BELLO A MAMMA SUIA



Bello, simpatico e soprattutto intelligente... Grande speranza del futuro del Nord
La sua storia
Figlio di un senatore del parlamento italiano, iscrittosi al liceo scientifico di Tradate, per tre volte viene bocciato all'esame di maturità, nonostante che un ispettore sia venuto appositamente da Roma per far ripetere l’esame e verificare che gli esaminatori non fossero i soliti comunisti di parte: bocciato anche in questa circostanza.
Al quarto tentativo supera molto brillantemente l'esame di stato con un eccellente 69/100: è un genio, merita un posto importante nella società.
Con i dovuti requisiti entra subito a far parte dell'organico dell'Osservatorio sulle Fiere Lombarde, per vigilare sulla "torta Expo".
Lo stipendio non è confacente alle sue pregevoli doti, ma per amore di questo paese, si accontenta di soli 12.000 € al mese per combattere la corruzione ed il nepotismo.
Alle elezioni regionali del 2010, a soli 21 anni, viene eletto consigliere regionale. Possiamo affermare con grande soddisfazione che in questo paese chi si dedica allo studio e fatica riesce sempre a raggiungere obbiettivi di prestigio.

mercoledì 19 maggio 2010

La Diversità nel 2010

Mi scrive un nuovo amico, Denis, e mi chiede (prendete esempio, gente, scrivete e dimandate):

"Francesco... Oggi, nel 2010, come stai vivendo il mondo delle disabilità? Secondo te, cosa non hanno capito i giovani di noi?"

Caro Denis, oggi vivo il mondo delle disabilità esattamente come l'ho sempre vissuto. Negli incontri che tengo (con scuole, cittadinanza eccetera) questo è, solitamente, uno dei primi (anzi, sicuramente il primo...) argomenti che saltano fuori. Ovviamente. Diciamo che io vivo il mondo delle disabilità quasi dall'esterno, sinceramente a volte non sento quasi di farne parte. Forse perchè mi sento "troppo normale", nè disabile nè diversamente abile, nè nessun altra cazzata di termine si siano potuti inventare fino ad ora. Forse perchè trovo assurdo si consideri "più diverso" degli altri uno solo perchè ha il culo su una carrozzina, in una Realtà materiale dove TUTTO è fondamentalmente Diversità. Eppure fra "quelli come me" (ci siamo capiti...) sono "anormale", un "diverso fra i diversi" potremmo dire. Le persone disabili sono, spesso, quelle che sottolineano e rimarcano più di tutti la loro "diversità"... Che tendono a volersi chiudere in un circolino. I miei concetti, ciò che credo di aver capito su questo tema, riesco a farli capire molto più facilmente ad un cosidetto "sano" piuttosto che ad un mio, per così dire, "compare" (quante virgolette in questo articolo, virgolette per farvi sottintendere. Quanto vorrei non dover scrivere, nel 2010, questo post. Quanto vorrei non ci fosse più bisogno di usare virgolette). All'inizio non mi capacitavo di come potesse accadere questa cosa, era assurdo. Per me, in carrozzina, era ed è talmente naturale non sentirmi "più diverso" rispetto a chi non ci sta che non riuscivo a capire come gli altri non condividessero quest'idea. Poi ho riflettuto, e ho trovato la risposta. Loro non hanno avuto una famiglia straordinaria come la mia! Partiamo da un principio: ogni Essere, in linea di massima, si pone nei confronti degli altri e della Società come la sua famiglia si è posta prima con lui. Attenzione, qui non c'entra l'affetto... L'Amore... O il Bene. Una persona può volerti anche tutto il Bene di questo Mondo, ma può avere determinati comportamenti che uccidono la tua Anima. Io sicuramente ho avuto due genitori che mi hanno sempre voluto molto Bene, ma ciò che mi ha reso "forte" è stato il loro considerarmi una persona, un figlio, assolutamente normale e uguale a tutti gli altri. Mi hanno sempre fatto vivere la stessa Vita che conducevano loro, non mi hanno creato una Vita ad hoc più facile o confortevole. Non sono le grandi cose che formano una personalità, ma i piccoli particolari. Si sente quando qualcuno non si pone con te in maniera naturale e spontanea, personalmente ho sviluppato la capacità di accorgermene immediatamente. Ecco, i miei genitori si sono sempre posti con me in modo naturale e spontaneo, come con un qualsiasi figlio (oltre che, fin da bambino, mi hanno sempre spinto a cercare cosa mi sarebbe piaciuto fare ed essere nella Vita, quali erano i miei Talenti, sperimentando più cose possibili... Ed oggi eccomi qui a fare l'Artista). Fra i miei amici "carrozzati" non ho notato, purtroppo, lo stesso percorso. Ho alcuni carissimi amici, figli di gente ricca, che hanno avuto sicuramente molto più di me da un punto di vista materiale (accessori, tecnologia eccetera), hanno avuto tutto ciò di cui uno in carrozzina potrebbe aver necessità. Questi ragazzi, però, non riescono a rapportarsi in modo concreto e libero con chi non vive la loro stessa condizione. Pensano che chi non è in carrozzina non possa e/o riesca a capirli. Bhe, questo è un meccanismo che scatta spesso nella mente del genere umano. E' normale, ma è sbagliato. Nella Vita domina, come già detto, la Diversità. Anche nelle scelte la Diversità premia, scegliere ciò che è Diverso da noi produce risultati sicuramente migliori. Unire persone con gli stessi problemi spesso provoca fenomeni come l'autocommiserazione, o l'aggravarsi dei lati peggiori del proprio "limite". Unire, invece, persone con problemi di radice fondamentalmente "diversa" crea una sorta di compensazione ad incastro. Le mancanze di uno vengono sopperite dall'altro, e viceversa. Questa cosa l'ho notata molto nel mio rapportarmi con i giovani, ma di questo parlerò più tardi quando risponderò alla seconda domanda di Denis. Perchè, nelle persone con disabilità, scatta fortemente questo meccanismo di auto-esclusione? Perchè le famiglie che hanno alle spalle, fin da piccoli, li hanno abituati a frequentare posti e persone in cui esisteva solo ed esclusivamente qualcosa inerente la loro "diversità"... Come quasi a volerli abituare a rapportarsi con i loro "simili". La mia famiglia, per esempio, non mi ha mai fatto vedere, nemmeno da lontano, un qualsivoglia centro per "poveri bambini sfortunati". Ho sempre vissuto con gli altri, in mezzo agli altri. Al 100%. Questo mi ha portato a non avere veli davanti agli occhi, a non sentirmi abitante di un "mondo parallelo". La colpa, però, non è nemmeno delle famiglie. Io mi ci metto nei loro panni, e le capisco. Nella Vita bisogna sempre fare il cosiddetto "giro dell'8", mettersi nei panni degli altri no? Ecco... Io, se mi metto dalla parte di una famiglia che si trova all'improvviso la "sorpresa", qualcosa con cui non ha mai avuto a che fare e forse quasi nemmeno sentito nominare, che nonostante tutto sceglie di non fare l'aborto (e non sono molte, purtroppo...), dico che è normale che vanno a cercare risposte nella Società. E qui sta il problema, caro Denis, qui s'arriva al nocciolo della tua domanda: "Oggi, nel 2010, come stai vivendo il mondo delle disabilità?". Io, personalmente, bene. Vivo una Vita assolutamente normale, sono sposato, non mi manca nulla... Non mi sento diverso perchè su una carrozzina, semmai mi sento unico (tutti, ciascuno di noi, è unico) per alcune mie particolarità (essere in carrozzina è una di queste, ma non è nè la prima e tantomeno la più importante). Tutto questo, però, perchè sono io. Francesco Canale, in arte Anima Blu. Con tutto ciò che ho alle spalle (famiglia, eccetera eccetera). Nel Mondo non tutti, però, sono stati così fortunati. E allora la domanda di Denis bisogna ribaltarla, per tutti quelli che vanno a cercare risposte nella Società: "Oggi, nel 2010, la Società come sta vivendo il mondo delle disabilità?". Male, a mio avviso. Molto male. Vive male non solo la disabilità, ma tutta la Diversità in genere. Viviamo in una Società che vuol far finta che la Diversità non esiste, che vuole far dimenticare alla gente che siamo tutti diversi. Questo è grave, è pazzesco. La Diversità è la Vita stessa. Andare contro la Diversità significa, quindi, andare contro la Vita stessa. La Società in cui viviamo, dunque, è fondamentalmente "contro la Vita" (qualcuno potrebbe dire, gentilmente, a quei rincoglioniti dei cattolici che non ha nessun senso gridare no all'aborto e contemporaneamente amare follemente il Capitalismo?). Partiamo da un presupposto: c'è qualcosa dentro l'Uomo che lo porta a rifiutare la Diversità. Da sempre. E' un meccanismo che esiste da quando esiste il Mondo. In tutte le Società precedenti la nostra la Diversità è sempre stata considerata rogna, castigo divino, maledizione, sempre un problema e mai una risorsa. Quante guerre si sono fatte ed ancora oggi si fanno contro la Diversità (anche se, c'è da dire, l'Uomo è bravissimo a coprire i suoi interessi nascosti... Mascherandoli da parvenze di concetti). Il punto, però, è proprio questo: un tempo certi atteggiamenti li si poteva giustificare attribuendoli all'ignoranza, alla mancanza di cultura, all'essere ancora "troppo bestiali". Oggi, invece? Oggi tutti dicono a gran voce che la Diversità non è un problema, che siamo favorevoli alla Diversità (l'idiozia di questa frase: devi essere favorevole ad un qualcosa che fa parte di te? Sei favorevole a te stesso?), che non emarginiamo ma anzi integriamo. Balle. Tutte balle, rivestite di perbenismo. Facciamo "finta" di essere quelli civilizzati, quelli che non hanno problemi a confrontarsi con la Vita. Invece no. Solo che noi siamo furbi, abbiamo trovato un modo "pulito" e "politicamente corretto" di sbarazzarci della Diversità. O meglio, cerchiamo di sbarazzarcene (la Diversità sta dappertutto, più la soffochi più lei esce... Come un vulcano!). Abbiamo inventato il Capitalismo. Eh già. Non l'abbiamo inventato, principalmente, per questo scopo: fondamentalmente serve per arricchire pochi, fottendo tutti gli altri nell'illusione di renderli un giorno ricchi. E' chiaro, però, che per rendere ricchi pochi non può esistere un Mondo di "diversi". Il meccanismo non funzionerebbe. Soffocare la Diversità diventa quindi, allo stesso tempo, esigenza e virtù. Abbiamo creato un'idea "condivisa" di "normalità", dove normale è colui che produce. In qualunque modo, l'importante è che produca. Non persona, non Anima, non Essenza, ma una pura e semplice matricola. Chiunque esca fuori da questo schema è fondamentalmente un "diverso", un problema da eliminare. Chi non produce o non si adegua, viene inserito in un gruppo di gente fatta tutta come lui. Dev'essere così, non può andare diversamente. Se i "diversi" vivessero liberi all'interno della Società diventerebbero delle "mine vaganti", come suggerisce il titolo dell'ultimo film di Ferzan Ozpetek. La disabilità, quindi, subisce lo stesso trattamento. La disabilità nella Società del 2010 quasi non si vede, è tutta raggruppata in tanti piccoli circolini tristi. Esattamente come in quella dell'800, del '500, e via di questo passo. In televisione raramente si vede una persona disabile (tranne in qualche trasmissione cattolica che tratta il tema dei poveri "sfortunati" che Dio ama tanto, o quando Bruno Vespa organizza la "serata a tema" invitando 500 disabili in una volta sola), e questo contribuisce a far si che quando una persona incrocia una carrozzina per strada rimanga basito (l'omosessualità, per esempio, è una Diversità molto più integrata... Perchè in tv è molto facile vedere un gay, anche se spesso l'omosex viene "sfruttato" perchè fa sorridere... Un pò come i giullari di un tempo). Una persona "disabile", in una Società dove devi sempre e comunque rendere al 500%, difficilmente trova lavoro (le liste protette, oltre ad essere un qualcosa di veramente triste, nemmeno funzionano). Insomma, sono tanti i problemi. E spesso finisce così: mia sorella lavora in una Casa di riposo, e ultimamente mi ha raccontato di un ragazzo di 30 anni, affetto da distrofia muscolare, che ha sempre e solo vissuto con sua madre, non si è mai sviluppato come persona... Ora che la madre è diventata anziana e non autosufficiente, il figlio, non avendo nessun altro, è finito assieme a lei in Casa di riposo... A 30 anni!? Lo trovo pazzesco, e m'indigno profondamente. Questa è la nostra Società, una Società che non mostra alle famiglie italiane una disabilità "vincente" (di chi come me si sposa, lavora, vive una Vita normale insomma) ma che al contrario le indirizza verso determinati luoghi, Pensieri, modi d'agire e porsi, preoccupazioni. Eh si, perchè se un figlio con "problemi" non riesce a crearsi una Vita normale la preoccupazione più grande dei genitori diventa, in una Società tra l'altro molto egoista, cosa ne sarà di lui un giorno che scompariranno loro. Così sorgono Onlus "Dopo di noi" come funghi. Queste Onlus spesso mi chiamano per le mie attività artistiche (una proprio settimana scorsa), io vado, cerco di trasmettergli qualcosa ma vi posso assicurare che sono gli ambienti più ostici di tutti, ostici a recepire certi concetti così "diversi" e "nuovi". La Società influenza in maniera sbagliata le famiglie, le famiglie a loro volta i figli, e i figli infine influenzano male se stessi e le loro scelte. E' un meccanismo vizioso, bisogna spezzarlo. Bisogna spezzarlo perchè soffoca l'Anima di persone che, come tutte le altre (nè più nè meno), avrebbero molto da dire e da dare al Mondo... Ed invece muoiono appassite su se stesse, e questo è inaccettabile per una Società così evoluta e civile come ama definirsi quella odierna del 2010.

Veniamo alla seconda domanda di Denis: "Secondo te, cosa non hanno capito i giovani di noi?". Mah, a parte che non so cosa dovrebbero capire di noi in quanto "disabili". Cioè, ritornando al discorso di prima siamo tutti quanti diversi ed ognuno, carrozzina o no, è unico. Bisogna sempre rapportarsi 1 a 1, cercare di capire chi si ha di fronte. Quelli che stanno su una carrozzina non sono mica tutti uguali, ognuno ha un suo modo di pensare, d'agire, di rapportarsi, ha dei suoi gusti. Pensare di cercare di capire chi sono TUTTI quelli che vivono su una carrozzina è stupido, oltre che impensabile. Ecco, forse ciò che non hanno capito (ma perchè nessuno gliel'ha mai mostrato, non per altro) è che i "valori" che la Società gli trasmette sono fasulli e passeggeri... La bellezza fisica, il successo, il denaro, l'Apparire invece che l'Essere. I veri Valori, con la V maiuscola, sicuramente aiutano e stimolano l'accettazione delle Diversità. Io credo, perchè l'ho provato sulla mia pelle, che i giovani sono quelli più pronti e disponibili ad accettare concetti nuovi e "diversi". Ho sempre vissuto in mezzo a loro e non ho mai avuto particolari problemi, anzi. Oggi, quando vado a parlare con loro negli incontri che tengo, ricevo moltissimo. Il problema delle nuove generazioni è che sono rassegnate, sfiduciate, rimbambite da tutto ciò che il Mondo gli butta addosso e dall'omologazione che la Società tende a volergli cucire sopra. Hanno come un velo davanti gli occhi. Basta poco però per farlo cadere questo velo, cade molto più facilmente rispetto ad un adulto. I giovani, ne sono convinto, non avrebbero nessun tipo di problema ad accettare la Diversità se solo qualcuno gliela ponesse di fianco. I giovani adorano la Diversità, la cercano, proprio perchè sono nell'età in cui ancora (per fortuna) ricercano sè stessi e le proprie diversità/unicità (procedimento, questo, che gli adulti spesso non assecondano e a volte soffocano addirittura). Prima accennavo al mio rapportarmi con i giovani, e all'unire problematiche diverse. Si, per me è stato proprio così ed il bello è che tutto è avvenuto in modo naturale e spontaneo. A scuola ho sempre cercato di fare a meno dell'insegnante di sostegno (questa figura, spesso, se non vien ben utilizzata crea un muro fra il ragazzo e i suoi compagni), perchè volevo che la mano me la desse la classe. Solitamente, quando avevo bisogno di qualcosa il primo che si alzava in piedi e veniva a darmi una mano era un cosiddetto "ragazzo difficile"... Quelli che a scuola vanno male, che vengono da situazioni familiari disastrate, quelli che io ho affettuosamente definito "pinocchietti". Irrimediabilmente, poi, diventavamo amici perchè nasceva una sorta di concordanza Spirituale e Fisica: loro davano una mano a me da un punto di vista pratico, e io li stavo ad ascoltare cercando anche di dargli buoni consigli. Vedete, cari amici, caro Denis, come la Diversità spunta sempre fuori: i limiti di uno vengono compensati dalle capacità dell'altro, e viceversa. Come dovrebbe essere sempre, fra buoni amici. Bene, siamo arrivati alla conclusione di questo articolo. Desideravo precisare ma, molti di voi già lo sanno, che critico fortemente la Società e, ad un primo sguardo, può sembrare che generalizzo troppo o faccio del qualunquismo. E' ovvio che c'è anche tanto di buono nella Società, degli ottimi spunti da cui partire (i giovani, per esempio)... Sulla Diversità volevo sottolineare, però, che, al contrario di quanto può sembrare, siamo ancora MOLTO indietro. Impegnamoci tutti, allora. Lo dico sopratutto ai più "diversi" (mi sento un pò un idiota a dover scrivere certe cose): non rassegnatevi a vivere una Vita mediocre, non pensate che non potete vivere una Vita "normale", non fermatevi a chi è più simile a voi... Andate oltre, guardate oltre... Fuori dal vostro piccolo orizzonte. C'è un'umanità intera, fatta sopratutto di giovani, che aspetta solo di essere istruita e di poter conoscere ciò che la Società del 2010 spesso gli nasconde. Un abbraccio a tutti, uguali e diversi. Anima Blu

La Follia del genere Umano...

Il primo cyborg è inglese: addio parole, si comunica con il pensiero

NICLA PANCIERA

Se una mucca si intromettesse ora nella nostra conversazione con il muggito degno di un baritono, difficilmente riuscirei a capire quanto sta tentando di dirci. Del tutto analoga sarà la percezione che nel futuro avremo di quel vecchio, stupido e antiquanto modo di comunicare chiamato discorso».

Parola di Kevin Warwick, docente di cibernetica all'Università di Reading, in Gran Bretagna, e primo uomo bionico. «Non è più fantascienza e non è una questione di tecnologia. Essere uomini e donne bionici non significherà solo un potenziamento delle prestazioni del nostro cervello, ma la possibilità di essere dotati di nuove facoltà oggi impensabili, come comunicare con il pensiero con i nostri simili, pensare in quattro o cinque dimensioni, non limitarci ai cinque sensi».

Anche i più assuefatti alla tecnologia e ai suoi gadgets non possono che restare stupefatti di fronte alle promesse - e agli esperimenti pioneristici condotti sul suo stesso corpo - dell'unico uomo che ha collegato il proprio sistema nervoso a un computer e l’ha messo in Rete, riuscendo a comunicare «telegraficamente» con la moglie, a spostare oggetti lontani migliaia di chilometri da sé e a sperimentare percezioni tecnicamente extrasensoriali. «Se oggi usiamo già supporti esterni per potenziare le nostre capacità di calcolo e memoria, perché non integrarli nel nostro corpo? Perché non permettere che la nostra memoria diventi la memoria delle macchine?», si chiede, nemmeno troppo provocatoriamente, lo scienziato inglese, che ricorda come l’high tech renda possibile integrare una serie di oggetti nell’organismo, come nel caso degli arti artificiali in fibre di carbonio, che possono diventare migliori degli originali umani, oppure degli impianti cocleari che ridanno l'udito e delle retine artificiali.

Per Warwick, che nel 1998 si è fatto impiantare un microchip a radiofrequenza nel braccio sinistro e nel 2002 innestare un centinaio di microelettrodi nelle terminazioni nervose dello stesso arto, il prossimo passo - spiega - «sarà un impianto cerebrale per realizzare la comunicazione direttamente da cervello a cervello. Tra sette, al massimo 10 anni».

«Se fossimo cyborg - racconta - avremmo una visione del tutto diversa del mondo davanti a noi: cambierebbero radicalmente i sistemi educativo e sanitario, non solo la comunicazione interpersonale. Dobbiamo continuare a indagare il funzionamento cerebrale, ma intanto siamo in grado di creare un cervello biologico partendo dai neuroni dei ratti. Adeguatamente stimolati, formano delle reti neuronali che vengono poi impiantate nei robot, dove le connessioni si rafforzano con l'esperienza. Si tratta di apprendimento vero e proprio».

«Che cosa significa essere pipistrello?», si chiedeva 40 anni fa nelle sue «Questioni Mortali» il filosofo Thomas Nagel, in uno dei più importanti interventi di filosofia della mente. «Ora ho la risposta! - dice Warwick -. Ho sperimentato la percezione degli ultrasuoni. Nonostante la benda sugli occhi, ero in grado di muovermi e sapere esattamente la distanza degli oggetti grazie agli impulsi elettrici che stimolavano il mio cervello tanto più intensamente quanto più mi avvicinavo a loro». Eppure - aggiunge - si dice sorpreso di quanto lentamente si avanzi in questo campo. «Dopo il successo del primo test, pensavo che in molti mi avrebbero seguito. Non è stato così: la maggior parte degli scienziati sono estremamente conservatori».

Nonostante riceva fondi sia statali sia privati, il professore è spesso bersaglio di un fuoco di emozioni che vanno dalla benevolenza, come quella espressa dal vescovo di Coventry, «che ha appoggiato il mio lavoro per le possibili ricadute sulla sorte degli uomini», all’ostilità, anche se Warwick assicura che «sono pochi i colleghi che dissentono apertamente», fino alla curiosità carica di aspettative, come dimostrano i «molti volontari che mi contattano per partecipare agli esperimenti. Alcuni sono affetti da gravi disturbi neurali, mentre altri sono giornalisti, professori o avvocati, consapevoli delle potenzialità del mio lavoro».

Warwick promette una rivoluzione. «Temo che, oggi, l'aumento sempre più evidente delle differenze sociali sia una conseguenza della tecnologia - afferma -. Ci sono infatti diseguaglianze enormi tra le stesse società. Dopotutto, noi voliamo da un continente all’altro, anche se una larga fetta della popolazione mondiale non se lo può permettere». Lo scenario, però, potrebbe cambiare radicalmente. L’uomo bionico - sottolinea - apre prospettive allettanti, come l'affrancamento dai lavori più monotoni e usuranti, e una trasformazione del concetto di tempo libero, uno «spazio» da dedicare ad attività davvero stimolanti, enfatizzate dalle facoltà cognitive e sensoriali generate dalla simbiosi biologia&macchine. E non basta. «I miei test, come quelli per far “crescere” un cervello, permettono di gettare luce sul suo funzionamento, rispondendo a questioni mediche essenziali, come il trattamento e la cura di pazienti colpiti da ictus, Alzheimer o Parkinson». E progressi in questi campi - sottolinea - stanno a cuore a chiunque, anche a chi si dichiara contrario alle sconvolgenti ibridazioni da cyborg.

Tutto bene, dunque? Non proprio. I rischi per l'essere bionico - come per qualunque creatura - sono in agguato. «I segnali inviati del computer - conclude Warwick - potrebbero “colonizzare” sia il cervello sia l’organismo, alterandoli, tanto da diventare veri e propri virus». Il mondo biologico e quello tecnologico devono ancora imparare a conoscersi.